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NUOVI QUARTIERI, LA CARACAS CHE NON SI ARRENDE

Dove una volta c’erano solo casermoni sorgono centri polifunzio­nali e campi da basket. Nel VENEZUELA travolto dalla crisi e dall’incubo del golpe, i creativi portano nuove idee nei barrios

- di Fabio Bozzato

Gli abitanti di Pinto Salinas volevano un posto dove tenere le assemblee di vicinato, ripararsi dalla calura, riprendere fiato e magari maledire le ore di fila per comprare la carne o le medicine. O anche solo per commentare l’ultimo operativo della polizia in cerca di droga o di armi. Pinto Salinas è un agglomerat­o di casermoni e strade sconnesse a nord di Caracas. Ora un angolo di questo barrio è diventato Plaza Tres Marías, progettata assieme agli architetti di Oficina Ludica e PKMN: una leggera struttura metallica verde, il pavimento in legno, un edificio colorato. Calle Carbonell, tra i costoni di Urdaneta nel quartiere Catia, è un alveare di ranchos, case cresciute una sull’altra, cemento e tetti di lamiera, parabole satellitar­i e fili elettrici volanti. La comunità di Carbonell ha progettato con gli architetti di Lab.Pro.Fab un

centro polifunzio­nale in un fazzoletto di terra. Da due anni qui svetta un bell’edificio rossastro su tre piani, sembra una molla lanciata verso l’alto: piano terra per le attività sociali, laboratori nel primo piano avvolto da pareti d’acciaio ricamato e infine un campo sportivo sotto un’enorme vetrata. Di notte si illumina come fosse il Pompidou dei ranchos. Micro-chirurgia urbana, la chiamano. Interventi ad alto tasso di innovazion­e, gruppi di giovani architetti che si muovono in città con artisti, sociologi, filmmaker. Utilizzano la normativa al meglio: costruisco­no rapidi, lavorano con le ditte del luogo, dimezzano i costi. E progettano con gli abitanti: la maggior parte delle idee nasce nei consejos comu

nales e nelle comunas, i consigli di quartiere, le associazio­ni, i comitati di zona, le assemblee di vicinato. In Venezuela c’è persino un Ministero delle comunas, che nei sogni di Hugo Chavez era un pezzo di socialismo da costruire in parallelo alle normali istituzion­i. Nel 2015 ne erano registrate 1433, oltre 45 mila consejos, quasi 350 mila cooperativ­e, 6600 organizzaz­ioni comunitari­e. Per le opposizion­i non sono che operazioni clientelar­i ed elettorali. Sarà pur vero, ma rivelano anche una società civile che non è finita schiacciat­a nello scontro politico o inghiottit­a dalla crisi.

Il Venezuela sa sorprender­e. Impantanat­o com’è in una crisi istituzion­ale senza precedenti, sospeso a una situazione politica che si profila come la dittatura di Nicolás Maduro, tra un parlamento esautorato e i fantasmi della repression­e, lotta contro una iper-inflazione e una super-recessione, attanaglia­to da violenza e corruzione. E capita sempre che qualcuno ti dica: «Forse nella domanda c’è la risposta». Come dire che la disastrosa epopea chavista in realtà ha seminato molto più di quello che sembra. E anche per dire che nonostante l’incubo del golpe gli anticorpi ci sono. Ne è convinto Nelson Rodriguez, che ha coordinato i progetti urbani a livello ministeria­le. Ne hanno finanziati 13.361 solo qualche giorno fa. Piccoli campi da basket sui tetti di Petare, una casa culturale a La Pastora, un centro comunitari­o incastonat­o tra i tuguri di Canaima-Los

La maggior parte delle idee nasce nei comitati di zona, nelle assemblee di vicinato, nei consigli di quartiere

Frailes: come a Pinto Salinas o a Catia sono posti che molti liquidano alzando gli occhi al cielo, pura hampa dicono, solo delinquent­i. Ma qui l’economia e la democrazia sono informali e necessarie. Contraddit­torie e violente, ma vitali.

Avenida Bolívar, centro di Caracas. Da sempre ogni governo vorrebbe farne il suo fiore all’occhiello. Negli ultimi anni è diventato il quartiere dei musei, ma ci hanno pure costruito tre grandi insediamen­ti popolari. Un’operazione per democratiz­zare l’uso del suolo, secondo il chavismo. Hanno portato i malandros in centro, dicono gli altri. Qui stanno intervenen­do gli architetti del collettivo PICO, uno dei più conosciuti nel Paese. Marcos Coronel ci racconta l’agenda che hanno messo a punto nelle case popolari, le assemblee chiassose, il bando aperto solo ad architetti under 40 e i 160 progetti arrivati per disegnare servizi di base. Oggi i lavori nelle aree verdi dell’edificio giallo dedicato a Omar Torrijos procedono a pieno ritmo. Ne uscirà un’arena per gli incontri pubblici, un piccolo teatro all’aperto, un giardino per i bambini e un campetto sportivo. «La crisi profonda che stiamo vivendo» riflette Coronel «può essere l’occasione per osservare la resistenza del nostro tessuto sociale, nonostante tutto. E inventare processi democratic­i fuori dagli schemi». Alejandro Haiek, che guida il Lab.Pro.Fab, è tornato a Carbonell: «Come architetti siamo sempre occupati a costruire. E mai sappiamo fare i conti con ciò che costruiamo».

Così ora guida un progetto partecipat­o per fare gestire quell’edificio alla comunità locale. «Costruire senza edificare» lo definisce. «Abbiamo creato l’hardware, dobbiamo inserirci il software»: qui nasceranno un mercato agricolo, orti urbani e gruppi di acquisto solidali. A proposito: sono talmente tante le esperienze di questo tipo, che è nato anche un ministero per l’Agricoltur­a urbana. Potere della crisi.

Qui l’economia e la democrazia sono informali e necessarie. Contraddit­torie e violente, ma vitali

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Il nucleo culturale “La Ye” nel Barrio Petare di Caracas. Opera degli studi PICO + PGRC.
 ??  ?? Un campo di basket asimmetric­o, ma funzionale. È “1100” Sistema di Equipament­os Comunitari­o nella Comunità Canaima - Los Frailes di Caracas. Architetti: AGA Estudio Creativo + PICO.
Un campo di basket asimmetric­o, ma funzionale. È “1100” Sistema di Equipament­os Comunitari­o nella Comunità Canaima - Los Frailes di Caracas. Architetti: AGA Estudio Creativo + PICO.
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“Mirador 70”, Comunità del Barrio 70 a Caracas. MAAN + Gruppo Talca.

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