Corriere della Sera - Io Donna
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StanleyTuccimetteungiovane critico d’arte, James Lord (interpretato da Armie Hammer), davanti al cavalletto, e allo sguardo, di Alberto Giacometti (Geoffrey Rush) per un’unicasedutadiritratto. Unaproposta irresistibile: diventare l’oggettodel raccontodi ungrandeartista, tutto sommato con poco sforzo. Ma da quell’unica seduta si passò a 18, il volo di ritorno continuamente aggiornato, l’operafattaedisfattamille volte, l’insoddisfazione dell’artista, la sua ricerca di perfezione portate finoallasogliadell’autodistruzione. Tucci ammette di aver avutoGiacometti in testa per lungo tempo: «Ho visto le sue opere per la prima voltaavent’anni. Ehoportatoconmeil libro che Lord ha scritto su quell’esperienza( pubblicato in Italia da Nottetempo) ovunque andassi. Ci ho messo tre anni a scrivere la sceneggiatura e dieciatrovareisoldiperfareilfilm».
Checosal’attiravainGiacometti?
Il fatto che fosse un artista tormentato, un artista perfetto. E l’idea del ritratto rifatto mille volte mi permetteva di portare lo spettatore fino al punto di rottura. Mi famorire dal ridere il pensiero di chi guarda il film che sbotta: «Ma quanto andrà avanti questa storia? Non finirà mai?». Ed è proprio così, potrebbe non finiremai.
Ilsensodiinsoddisfazioneperenne diGiacometti è anche il suo?
È ilmio come regista, come attore e come persona. Ieri sera non dormivo al pensiero dei cambiamenti che avreivolutofarealfilmecheormai, ahimè, nonfaròpiù.
Leidipinge?
Faccioschizzi. Qualchevoltaanche solonellamia testa. Dipingooggetti, facce: è un modo per fissare le cose, fermareil tempo. Il tempovaveloce.