Corriere della Sera - Io Donna

MICHELE RIONDINO

Di Paolo Conti

- di Paolo Conti foto di Fabrizio Di Giulio

Non è così ovvio, né scontato, che un attore affermato e mediaticam­ente “famoso” si dichiari nemico giurato del divismo, quando gli chiedonose si sentauna persona “normale”: «Posso dire di sentirmi, anzi di essere, una persona totalmente“normale ”. E non capisco certi atteggiame­nti di alcuni colleghi, odi cantanti, la loro modalità di vivere. Io parto da un presuppost­o. Ilmio lavoro è utile se posso studiare la realtà e restituirl­a, perché è il mio compito profession­ale. Quindi non possono n essere normale: sealdi fuori del set, del palcosceni­co, nonsono “reale”, non potròmai esserlo lavorando». Michele Riondino, nato a Taranto nelmarzo 1979, sulla “normale” scenadella vita appare più giovane della sua età, forse per un’agilità complessiv­a che non ne fa un quasi quarantenn­e. Masul set sa trasformar­si. Lo vedremo inazione presto, lunedì 26 febbraio su Raiuno in prima serata, protagonis­ta de

Lamossadel cavallo, filmtvtrat­todal romanzo di Andrea Camilleri edito da Sellerio, una produzione Ra i Fiction-Palo mar perla regi adi Gianluca MariaTavar el li.

Stavolta Montalbano non c’entra, siamo comunque a Vigata ma nel 1877. Riondino interpreta Giovanni Bovara, nato in Sicilia però cresciuto a Genova, nuovo ispettore capo aimulini, incaricato di far rispettare l’odiosa tassa sul macinato. Si ritrova al centro di intrighi e depistaggi. Ci sarà uno spettacola­re delitto. Poi, per dirla in termini scacchisti­ci e soprattutt­o camilleri ani, ecco un Cavallo Matto che spariglier­à il quadro.

Nelle sue note di regia, Tavarelli parla di una Sicilia vista quasi come un FarWest italiano

dell’epoca. In che senso, Riondino ?« Gianluca ha intelligen­temente proposto un contorno accattivan­te per realizzare un film ambientato nel 1877 che non fosse, però, focalizzat­o sull’Italia del dopo Unità. I volti scelti, gli atteggiame­nti ne fanno una via dimezzo tra Il Gattopardo diLu chino Visconti e Il bello,

il brutto, il cattivo di Sergio Leone. Una storia che comunque porta alle radici di una certa sicilianit­à, di un’attitudine ad andare a braccetto con la criminalit­à. La tassa sulmacinat­o, ai tempi, era un grande sopruso vissuto come un’imposizion­e del nuovo Stato piemontese. La legalità formale delle regole faceva a pugni con la vera giustizi asociale. È qui la chiave della storia. Per questo è genialment­e felice l’ideadi Camilleri di inventare un personaggi­o contempora­neamente sia siciliano che genovese».

“Il protagonis­ta, Giovanni Bovara, Ã VO TJDJMJBOP DSFTDJVUP a Genova che ritrova MF TVF SBEJDJ OFMMB Vigata del 1877”

Un film didattico? «Assolutame­nte no, non intende “insegnare” niente ma raccontare l’importanza della differenza culturale in quel contesto». Camilleri è Camilleri e il finale sarà in sintonia col suo legame con la Sicilia, spiegaRion­dino: «IlmioGio- vanni Bo vara riuscirà a salvarsi dai trabocchet­ti e a chiudere il caso solo quando ritroverà le sue radici siciliane. Arriva in Sicilia con la tipica supponenza di un certo Nord, un po’ la stessa con cui una parte dell’Europa pensa all’Italia in termini di pizza e mandolino. Poi si ritrova al centro di un trappolone, due suoi colleghi sono già stati ammazzati mentre indagavano. C’è l’omicidio di un prete, ma è solo una casella: Camilleri ci abitua a decifrare le sue storie come un rebus. Cioè una figura, una sillaba… Lentamente tutto prende forma e significat­o. Bovara capisce grazie alla suasi c ili anitàrisco­perta ».

Riondino è al suo secondo incontro con Camilleri, dopo Il giovane

Montalbano, sempre per la regia di Tavarelli con Rai Fiction/Palomar. Inevitabil­e chiedergli del suo rapporto con il grande scrittore: «Sempliceme­nte fatico a non considerar­lo ognimoment­o un genio assoluto, uno degli ultimiMaes­tri rimasti in Italia, sonoun suo fan sfegatatom­a lui non vuole un rapporto com equesto. Sa lavorare sugli attori perché è un romanziere ma anche un grande regista, un autore, un attore. Quando un interprete gli chiede un aiuto, è un invito a nozze. Nel caso del mio Giovanni Bovara, ho lavorato con lui sulle sfumature e sui dettagli. Nel romanzo il personaggi­ousa spesso un dialetto genovese stretto. Il risultato finale èunar affinata mediazione tra l’ opera letteraria e le esigenze televisive. Il genovese e il siciliano si mescolano magicament­e e Camilleri, sempre attento al risultato perché giustament­e tiene tantissimo al suo romanzo, si è anche divertito».

Spess osi chiede agli attorido ve stiano dirigendo il proprio itinerario profession­ale. E allora, cosa sta preparando Riondinone­l suofuturo? Una risata, poi serissimo: «Non lo diròmai, naturalmen­te. So che faccio il mio lavoro perchémi piace interrogar­mi sulla vita. Ogni esperienza equivale ariempire di materiale un file personale pronto per essere utilizzato in altre occasioni, un po’ come avviene per gli antropolog­i quando studiano gliusideip­opoli». Qualche“maestro interiore ”?« Sono nato e cresciuto a Taranto, città difficilee­cheamo, pie nodi sogni. Penso sempre a Giorgio Strehler e a Paolo Grassi che, trale macerie del dopoguerra, riuscirono a creare un miracolo come il Piccolo Teatro. Quello, sì, è un immenso insegnamen­to profession­ale ».

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Michele Riondino, 39 anni: lanciato dBllB cUJon Il giovane Montalbano, sarà in onda il 26 febbraio su Raiuno ne La mossa del cavallo, lm UW UrBUUo dBll’omonJmo romBn[o dJ "ndreB $BmJllerJ
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Michele Riondino nei panni ottocentes­chi di Giovanni Bovara, il protagonis­ta EFM MN EJSFUUP EB (JBOMVDB Maria Tavarelli.

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