Corriere della Sera - Io Donna
Niente carriera per la campionessa
Antonella Bellutti, dal ciclismo su pista al ruolo di Direttore tecnico. Ma solo per poco
Ottimi risultati, ma quanti sacrifici?
«Tanti. Ero insegnante di educazione fisica, ho dovuto scegliere tra lo sport e il lavoro. Ho scelto lo sport. Nessun lavoro ti consente di stare 9 nove mesi all’anno in giro. E ai miei tempi per le donne sportive non c’era neanche la possibilità di unirsi ai corpi militari».
Oggi è l’escamotage per garantire un contratto agli atleti che non rientrano nelle categorie professionisti. Mai stata discriminata?
«Non ho mai firmato una clausola di non maternità, però
i premi di Coppa del mondo per le donne erano la metà o poco più dei corrispettivi maschili. E le borse di studio erano estremamente più basse. Ma l’esperienza più significativa è arrivata a fine carriera.
Nel 2002 sono diventata direttore tecnico delle squadre di ciclismo su pista, sia femminile che maschile. L’unico direttore tecnico donna della storia». Un’eccezione. Non mi hanno mai fatto il contratto. Dopo sei mesi mi sono dovuta dimettere, anche se non avevo mai firmato nulla.
Perché era donna?
i direttori tecnici delle squadre sono tutti uomini, anche per gli sport femminili. Ma più che la discriminazione di genere è la distinzione tra professionisti e dilettanti che crea problemi.
In che senso?
Oggi lo sport è diventato talmente specializzato e precoce che bisogna dare ai ragazzi e alle ragazze la possibilità di farlo davvero come lavoro, con tutele e garanzie. Se vogliamo che lo sport continui a essere un veicolo di principi positivi per i giovani, dobbiamo fare in modo che sia accessibile.