Corriere della Sera - Io Donna
NELLO SPORT È L’ORA DELLA PARITÀ
Alle Olimpiadi vincono più ori degli uomini, ma rimangono “dilettanti” e discriminate negli ingaggi. Ora Giovanni Malagò, presidente del Coni, promette un cambiamento a partire dalla dirigenza: un terzo dei consiglieri sarà donna
Correva, Spiridon Louis. Correva a testa alta verso il traguardo della maratona nello stadio Panathinaiko di Atene e verso l’oro più leggendario dei Giochi della prima Olimpiade. Era il 1896: 285 atleti di 14 nazioni al via. Zero donne. A Pyeongchang, in Corea, lo scorso febbraio, XXIII edizione dei Giochi invernali, le ragazze erano 1242 contro 1680 uomini. E tre di loro - Sofia Goggia, Michela Moioli e Arianna Fontana -, conquistando ori bellissimi, hanno piazzato la bandierina dell’italia sul mappamondo del regno di Frozen.
Molto è cambiato dai tempi in cui, nudoeuntod’olio, Spiridon Louis ripercorreva i passi di Filippide. Le donne si sono prese lo sport, professionistico e amatoriale (in Italia il 19,6% lo pratica in modo continuativo, i maschi sfiorano il 30%), i medaglieri dei grandi eventi internazionali, lucrosi contratti di sponsorizzazione e le copertine delle riviste patinate. Ma qualcosa d’importante restava da fare
La strada verso la parità di genere è tracciata. Grazie anche alle sette medaglie delle ragazze alle ultime Olimpiadi
a livello dirigenziale, quel piccolo mondo antico in cui i pregiudizi sono duri a morire. Ci ha pensato l’uomo che ama le donne, Giovanni Malagò, il presidente del Comitato olimpico italiano che ha voluto le quote rosa per il prossimo quadriennio olimpico: dopo Tokyo 2020, quando le 44 Federazioni del Coni andranno a elezioni, almenounterzodei consiglieri federali dovrà essere donna. «Unascelta doverosa e, al tempo stesso, un risultato rivoluzionario» spiega Malagò. «Il nostro mondo è sempre stato maschile ma dal primo giorno in cui mi sono insediato ho pensato che le atlete dovessero avere una loro rappresentanza anchealivello dirigenziale epolitico». Pyeongchang 2018, con sette medaglie firmate dalle ragazze, ha accelerato il percorso. «La delibera adottata lo scorso 9 aprile incentiva le presenze femminili nelle Federazioni e nelle discipline associate, quindi in Consiglio nazionale. E traccia la strada verso la parità di genere auspicata dal Comitato olimpico internazionale».
federazioni Off LIMITS
Aspettando la rivoluzione («Èovviocheora le donne dovranno avere il coraggio di misurarsi nelle varie dinamiche elettorali»), i conti sono presto fatti: Malagò ha voluto l’ex fuoriclasse del windsurf Alessandra Sensini come vice, Rossana Ciuffetti alla Scuola dello Sport, Cecilia D’angelo a capo dell’area territorio e promozione, Valeria Panzironi agli Affari Legali, Annariccardi alla preparazione olimpica, Teresa Zompetti al settore strategia e responsabilità sociale e Diana Bianchedi, ex campionessa di scherma, acapodell’organizzazione della sessione Cio (Comitato Olimpico Internazionale) a Milano nel settembre 2019 che assegnerà l’olimpiade 2026. In Giunta è presente Valentina Turisini, in rappresentanza dei tecnici; poi una manciata di ex campionesse in Consiglio nazionale. Ruoli chiave, però non basta: a fronte di sei vicepresidentesse (atletica e badminton, le uniche discipline che già oggi rispettano le future quote rosa, basket, ciclismo, pesi, tiro a volo), tutti e 44 i presidenti delle Federazioni del Coni sono uomini. «I pregiudizi dello sport verso le donne sono gli stessi della società» sottolinea Malagò. «Ma in una cosa il nostro ambiente è diverso rispetto ad altri contesti: da noi, più che altrove, si va avanti per merito».
quando HAI IL vento Contro
Lasensini ne sa qualcosa. Sola donnanella commissione tecnica della Federvela («Di-
rigevo una squadra di maschi e non è stato facile. All’inizio fai la voce grossa e perdi un po’ di femminilità, poi prendi le misure»), non le sono bastate quattro medaglie olimpiche ( mitico l’oro di Sydney2000) per veleggiare conil vento in poppa: «Hoavvertito di più il maschilismo nella mia carriera dirigenziale che da atleta» ammette. Un giudizio fatto di cose sottili: sguardi, scetticismo. Capire che per farsi accettare non era necessario snaturarsi èstato unprocesso di autocoscienza: «Oggi sono consapevole che nel lavoro devi portare avanti le tue caratteristiche. Noi donne siamo diverse e complementari, ecco perché il connubio con gli uomini può funzionare». Il metodo di Alessandra si è plasmato («Ho un approccio sincero, sono aperta al confronto e ai consigli, delego molto»), senza perdere mai terreno né toglierne agli altri: «La paura dei maschi di fronte a un capo donna è vedersi scippare spazio, autorevolezza,ruolo.presentandomiconumiltà,senza mai impormi, forse li ho convinti».
un impegno, tante rinunce
Norma Gimondi, figlia d’arte, è l’unica donna ad aver provato a scardinare l’enclave delle presidenze del Coni nell’ultima tornata elettorale (marzo 2017), candidandosi alla Federciclismo. «Se qualcuno ha visto in me una rottura con il passato» ricorda l’avvocato civilista di Bergamo, «la politica sportiva in sé si è rivelata assai deludente. Ho ricevuto attacchi beceri da un mondo maschile, che concepisce la donna solo come la miss che consegna la maglia sul podio al vincitore della tappa. Nonètutta colpa degli uomini però: bisogna avere la forza di proporsi con coraggio e intelligenza, oltre gli stereotipi». Elontano, possibilmente, dagli impegni familiari. Norma non ha figli: «Trasferirsi a Roma e gestire una presidenza e una famiglia non sarebbe stato facile». La Sensini conferma: «Una carriera comporta rinunce». Atutti i livelli: da atleta e da dirigente.
La legge italiana, che non prevede il professionismo per le donne, certo non aiuta. «La legge 91 del 1981 è obsoleta e andrebbe urgentementerivista». Pensarechefederica Pellegrini (piccola profezia: scommettiamo che tra una decina d’anni sarà lei la prima donna al vertice del Coni?) sia considerata unadilettante, ein quanto tale priva di tutela sanitaria, pensionistica e diritti di base, non fa più sorridere. Fa rabbia. «Probabilmente è mancata un po’ di sensibilità su questo argomento e la volontà politica di prendere in mano l’argomento» chiosa Malagò, che si ripromette di continuare la moral suasion sui lavori parlamentari, nonostante un’instabilità politica squisitamente italiana. Il vulnus è lontano dall’essere colmato, però a modo nostro ci proviamo. Raffaella Masciadri, presidente della Commissione nazionale atleti del Coni, ha appena annunciato la creazione di un fondo per il sostegno della maternità delle atlete. E Paola Mora, 48 anni, ha appena festeggiato una primogenitura importante: un anno da presidente regionale dal Coni, a Trento. La prima. E, di certo, non l’ultima.