Corriere della Sera - Io Donna
«per me è già uno di noi»
«appena laureato pensavo che l’obiezione consistesse nel non collaborare alla soppressione del figlio vivo e in formazione nel grembo materno, ma presto ho capito che essere obiettore non significa “non fare”, bensì “fare molto di più”. Sottovalutare le necessità delle donne in un momento di estremo bisogno equivale a un abbandono terapeutico e sociale, occorre essere concretamente d’aiuto. a volte mi sono sentito impotente, nonostante la massima disponibilità all’ascolto; per fortuna esiste una fitta rete di volontariato capace di portare sostegno dove e come serve. Spesso sono mamme che ci sono già passate a saper parlare al cuore delle donne in difficoltà e a offrire soluzioni, meglio ancora di noi medici. negli anni ho constatato che tutte le donne che hanno scelto l’accoglienza del figlio, anche in condizioni difficili o con una diagnosi di malformazione, poi ne sono state grate e proprio quel figlio ha trasformato il problema in gioia; nel grande dolore legato all’aborto invece ho sempre visto una cicatrice indelebile. Questo deve far riflettere e mi porta a sperare. Per un medico, soprattutto ginecologo, è impossibile non vedere il bambino nel grembo come uno di noi e la sua mamma come persona bisognosa di attenzioni speciali».w