Corriere della Sera - Io Donna
Nell’ultimo libro Andrea De Carlo si addentra nel delicato rapporto di una donna con la figura paterna, facendo affiorare aspettative e delusioni, tenerezze e rabbie, frustrazioni e magie
truccata. Questo crea un parallelismo con il rapporto che c’è tra Margherita e Achille: lei ama una cucina intima e accurata, lui aveva un ristorante eclatante, per grandi numeri, che ricercherà poi in uno show per chef a Milano. Oltre alle complicazioni che questo crea tra loro, si tratta in fondo di due strade possibili - quella di farsi portatori di significati veri o di cercare il riconoscimento - che valgono per ognuno, in ogni talento.
Anche per uno scrittore, infatti. Lei di fronte a questo bivio cosa sceglie?
Io credo di aver sempre scelto la letteratura vera, l’amore per le storie, anche se mi è capitato di avere milioni di lettori dal Treno di panna in poi. E questo a volte la critica non lo perdona. Ma il mio interlocutore non è quel mondo: è un pubblico attento.
L’attenzione è un tema che ritorna. È quello che manca al presente dei social?
Certo, questo è un tempo antitetico all’attenzione e all’approfondimento. Per fortuna però la lettura non consente di abbassare la guardia. Non puoi leggere distrattamente, senza seguire la storia, sarebbe noioso. Per questo credo che valga ancora la pena scrivere romanzi, toccarli, nonostante ogni successivo progresso tecnologico.
Delle trasmissioni di show cooking cosa ne pensa?
È l’ennesimo esempio di quest’epoca che ha bisogno di modelli, di ricette pronte, facili.
Parafrasando Brecht, l’italia è una patria che ha bisogno di eroi?
In questo momento cerca figure forti, ma che non hanno radicato la loro forza in una vera crescita. È l’italia delle vie facili: dello slogan non delle parole attaccate a una verità.