Corriere della Sera - Io Donna

Fusion e troppa creatività snaturano la cucina?

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Viva la coda alla vaccinara. Hurrà per la bagna cauda. Secoli di vita alla caponata siciliana. La nostra Penisola è ricca di arte, di splendidi paesaggi e di ricette nate da una antica civiltà contadina e pastorale che ha accompagna­to a tavola generazion­i di italiani. Sapori spesso robusti ma comunque sicuri, una somma di ingredient­i destinati a incontrars­i e a fondersi.

Dunque, viva anche Angela Frenda con le storie della sua Cucina felice. Viva chef Rubio, così ruspante e legato alle tradizioni. Viva Giorgione sulla tv del Gambero Rosso, che lega i piatti ai panorami. Tuteliamo tutto questo. Mangiamo all’italiana, come i nostri padri e i nostri nonni. Non cediamo a quella globalizza­zione gastronomi­ca che ci vorrebbe chini su piatti in cui si mischia di tutto, in un unicum indistinto, tra salse piccanti messicane, involtini asiatici e cous cous mediorient­ale. A ciascuno il suo: se mangi spagnolo, chiedi una vera paella. Se scegli il greco esigi una moussaka come si deve. Se mangi alla fiorentina, ordina una buona ribollita. Ma risparmia al palato una trans-nazionaliz­zazione dei sapori che strappa radici, cancella storie e memorie. E ti umilia a nutrirti di indecifrab­ili non-piatti.

Racconta Massimo Bottura che senza un incolonnam­ento sul tratto autostrada­le tra Bologna e Reggio Emilia non sarebbe diventato lo chef italiano più famoso al mondo. La stampa locale aveva stroncato il suo ristorante, i suoi concittadi­ni - abituati all’opulenza dei pranzi della domenica - erano restii alle grammature (minime) della sua cucina e, proprio mentre meditava di chiudere bottega, il traffico sull’autostrada costringev­a un critico gastronomi­co “nazionale” a uscire a Modena e a recensire, col massimo dei punti, i suoi piatti. Nasceva una stella e piatti come i “Tortellini che camminano sul brodo”, la “Patata che spera di diventare tartufo”, dolci come “Oops, mi è caduta la crostata”, avrebbero fatto il giro del mondo. Ex malo bonum, diceva Sant’agostino. Dal male viene il bene. Ecco perché, all’italiano ancorato alla tradizione, a volte può giovare la “sfiga” di ritrovarsi in un posto in cui non saremmo mai andati per sperimenta­re la creatività di un cuoco e lasciarla valutare al palato, più che alla ragione: addormenta­re la mente può sorprender­ci e farci apprezziar­e una cucina fusion giapponese-brasiliana. Pensateci, la vita è troppo breve per nutrirla di sole amatrician­e.

Vi piace sperimen tare piat ti che mescol ano l a t R adizione di paesi diversi? scrive t eci a iodonn a .

pa R l i a mone@ R c s .i t.

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Alberto Sordi in una celebre scena diUn americano a Roma,1954.
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