Corriere della Sera - Io Donna

Nel suo ultimo film come in altri - è un uomo irritante. Un ruolo che sta a pennello all’attore francese, che non risparmia le critiche al mondo degli intellettu­ali snob. E anche sull’italia, Paese d’origine di suo papà Adelmo, ha qualcosa da dire...

- Di Valerio Cappelli foto di Philippe Quaisse

Qui Luchini è con Zineb Triki. Il film uscirà in Italia il 2 aprile 2020.

La vita è bella, all’estero è scomparso. Io sono un attore molto regionale, è vero. Mi conoscono un po’ in Belgio e in Canada... Sono rinchiuso, relegato, fagocitato dalla lingua francese. Mio padre, Adelmo, faceva il fruttivend­olo, un italiano bilingue. Io mi considero incapace e inadatto a imparare la vostra lingua.

E le radici italiane?

Le ho, amo la musicalità, mi piace sentirvi parlare. Condivido con voi l’attitudine a non amare la pesantezza della Germania. Nietzsche, il mio filosofo preferito, diceva che i tedeschi gli facevano cominciare più tardi la digestione.

Nel 2015 alla Mostra di Venezia vinse la Coppa Volpi con

interpreta­ndo un magistrato ipocondria­co, misantropo, infagottat­o in un mantello incornicia­to di finto ermellino.

Il cuore di quel personaggi­o, ormai spento al desiderio, si riaccende quando vede una bella dama tra i giurati, e anche il suo metro di misura al processo cambierà. Il mio discorso di ringraziam­ento fu un elogio sperticato per l’italia e una sorta di orazione funebre per il mio Paese. Voi sì che, nonostante tutto, sapete godervi la vita. E poi mi sorprendet­e sempre, i distributo­ri italiani della Lucky Red hanno pagato tantissimo per avere il mio nuovo film nelle sale.

In che ha ricevuto l’applauso più convinto alla Festa del cinema di Roma, fa uno dei suoi tanti personaggi antipatici, ai limiti dell’odiosità.

Un medico ricercator­e anaffettiv­o (ride), irritante per quanto è antipatico, uno che fa le cose per dovere e mai per piacere. L’opposto dell’amico (Patrick Bruel), un casinaro che si gode la vita. I due si convincono reciprocam­ente che all’altro restino pochi mesi di vita, mettendo in moto una serie di equivoci. Questo cambia il tuo rapporto col mondo. Bisogna fare qualsiasi cosa per recuperare il tempo perduto, ogni mattina ti alzi e guardi il sole con occhi diversi, sei più lucido e più idiota. Siamo partiti da una domanda.

Quale?

Si può ridere sul dolore? una storia diretta da Matthieu

corte Il meglio deve ancora venire,

ÈLa

Delaporte e Alexandre de La Patellière che celebra la vita parlando della morte. Abbiamo avuto come riferiment­o la commedia italiana di Risi, Monicelli, Scola, dove i personaggi sono allo stesso tempo comici e patetici.

C’è uno spunto autobiogra­fico?

Matthieu Delaporte era in attesa dal risultato della biopsia per un sospetto melanoma, non ha avuto il coraggio di comunicare la sua ansia a nessuno, nemmeno alla famiglia. Ma lo disse a Alexandre de La Patellière, lavorano insieme da vent’anni (Cena tra amici ispirò il remake di Francesca Archibugi, ndr). Pensarono di scrivere un film sulla paura di parlare della malattia, un tabù, e sull’amicizia, sulle conseguenz­e che certi fatti hanno nelle nostre vite. Ogni film è un’indagine sui sentimenti.

Veniamo a lei. Cosa c’è che non le piace della Francia, da indurla a tenere quel discorso a Venezia?

I miei spettacoli teatrali hanno molto successo, la gente fa la fila per vedermi recitare o leggere Molière, Céline, Balzac, Zola, Nietzsche. Solo che questo crea problemi, non posso considerar­e tutti amici, non posso far entrare gratuitame­nte tanti addetti ai lavori che poi magari fanno parte di giurie che danno i premi.

Per un attore, essere troppo colto è un limite?

Un attore deve essere in grado di restituire le emozioni di una sceneggiat­ura, è l’opposto dell’intellettu­ale, ha a che fare col ritmo, col suono, con l’incanto. Io amo la letteratur­a, dove ho potuto creare la piccola nicchia che porto ogni sera davanti agli spettatori. I miei padri sono La Fontaine e Molière, io ho sposato il teatro.

Ma al cinema ha avuto tanti successi!

I cineasti rappresent­ano una parentesi, alcuni incontri sono più felici di altri. Ozon, Rohmer… Il cinema non occupa un posto così importante e privilegia­to nella mia vita. Il cinema è femmina, è un abbandono, cioè, ti abbandoni alla penetrazio­ne della macchina da presa. Il teatro è il mistero della creazione.

In Italia il teatro è molto meno centrale di una volta…

In Francia funziona, a Parigi ci saranno 150 teatri di cui 30 importanti. giorno riesco a radunare 1100 persone su testi non facili, è un miracolo. In Francia ci sono due teatri intellettu­ali e una forma di teatro privato enormement­e finanziato dallo Stato. Io sono indipenden­te e libero. La prosa seria tante volte è brutta, ho visto aiuti governativ­i andare ad attori snob con occhialett­i e golf a collo alto che recitano Dante e Shakespear­e in albanese. E si continua a sovvenzion­are molto il cinema.

Beati voi.

In Italia avete avuto la seconda cinematogr­afia più importante del mondo, con Pasolini, Fellini, Scola…oggi quell’epoca è finita. Avete buoni autori qui e là, ma è un’altra cosa. C’è stato l’involgarim­ento della tv, l’esperiment­o di Berlusconi in Francia con La Cinq non ha funzionato, era di cattivo livello. Ieri sera ho visto su un canale italiano una donna nuda su una tavola da surf, una scena totalmente gratuita. Perché?

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