Corriere della Sera - Io Donna
Il diritto (o no) di dire “stai zitto”
Basta pubblicare un post “inappropriato”, negli Usa, per essere silenziati sui social. A erogare la condanna i giovani attivisti che smettono di seguire il responsabile. Condanna senza appello o nuova via di contestazione?
Èstata definita cancel culture o call out culture. È una chiamata a individuare e poi cancellare sui social media quei comportamenti - o “pronunciamenti” - che vengono percepiti come problematici e offensivi. Un “boicottaggio culturale” che può essere innescato da un aggettivo sbagliato, un’opinione irrispettosa fino a diventare molesta, una presa di posizione scorretta o avvertita come tale. Il risultato è l’allontanamento in massa dei follower: cioè la perdita istantanea dell’attenzione social, il silenziamento della propria voce sulle piattaforme digitali dove si vive (molto) e condivide (quasi tutto). Jonathan Haidt e Greg Lukianoff, riporta Wikipedia che sul fenomeno offre spiegazioni approfondite, avvicinano questa propensione al concetto di safeteysm, l’ansia di mettersi in salvo: gli studenti nei campus universitari non classificano dichiarazioni (e post su Internet) secondo il vecchio codice vero/falso, il bivio è tra pericoloso e sicuro. Perché le parole, nell’universo digitalizzato, sono la fonte di violenza più diffusa e minacciosa. Bisogna fare muro subito, insieme, mettere a tacere... «Stai zitto» canta Salmo in un pezzo geniale che intuisce tutto.
Barack Obama, durante un incontro della sua Fondazione, ha ammonito - con l’indice alzato - gli adepti della “cancel culture”: questo non è attivismo, il mondo è complesso e disordinato, la purezza non vi porterà molto avanti nel viaggio delle vostre vite. “Spegnere” un antagonista ti fa sentire forte, al momento, ma il tuo contributo al cambiamento sarà uguale a zero. Ha anche mimato la scena di uno che, dopo, si mette comodo e accende la tv con il telecomando. Sul New York Times Ernest Owens, ospitato nella sezione delle opinioni, ha risposto all’ex presidente: il desiderio di squalificare quello che voi interpretate come una sassaiola di gruppo è la prova di un divario generazionale. Baby boomer e generazione X non sopportano la militanza sui social di millennial e generazione Z? Bene - è il contrattacco - questa è la nostra piazza e non vale meno dei vostri picchetti di un tempo; i nostri hashtag (#blacklivesmatter o #metoo) non sono meno degni degli striscioni novecenteschi. Non siamo i bulli, noi ci muoviamo contro i bulli per difendere i vulnerabili di un altro millennio.
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La rubrica torna il 30 novembre