Corriere della Sera - Io Donna

Non solo kimono: l’estetica con cui il Giappone sedusse l’europa conquistò ogni arte. Lo dimostrano mostre (e collezioni) pronte a raccontare una storia di fascino intramonta­bile. Che dura ancora oggi

- Di Virginia Ricci

Nothing Really Matters (1999) e, a destra, un outfit Cristiano Burani.

La grande onda di Kanagawa di Katsushika Hokusai (1830 circa), xilografia in stile Ukiyo-e (“immagine del mondo fluttuante”).

Sopra, una foto d’epoca esposta al Mudec di Milano e, a sinistra, un outfit Stella Mccartney.

che esplorano questo fenomeno fin dagli esordi. Si parte dal Mudec di Milano con la doppia Impression­i d’oriente. Arte e collezioni­smo tra Europa e Giappone e Quando il Giappone scoprì l’italia. Storie di incontri fino al 2 febbraio 2020, per arrivare a Rovigo dove, a Palazzo Roverella si può vedere Giapponism­o. Venti d ’Oriente nell ’arte europea, fino al 26 gennaio 2020.

Quell’esotismo non ci ha più lasciati. Facendosi, anzi, sempre più raffinato: «Quando emerge una nuova cultura se ne copiano prima gli aspetti decorativi, per poi studiarne la tecnica» ha confermato anche Jun Kanai, curatore al Kyoto Art Institute. Stili di vita “zen”, trattorie tipiche (non più il solito sushi) e cerimonie del tè sono all’ordine del giorno, per non parlare dei rituali beauty (inutile negarlo: anche le paladine dell’abbronzatu­ra ammirano l’incarnato etereo delle giapponesi). Sull’ornamento dice la sua Katherine Anne Paul, esperta di Asian Art al Birmingham Museum of Art: «La chiusura dei porti giapponesi nel 1639 e l’adozione di una politica di isolamento rimasero in vigore fino al 1853. Da quel momento, e in particolar­e nel periodo Meiji (1868-1912), però, gli scambi con l’occidente furono intensi: arte e tessuti emersero nelle Esposizion­i Internazio­nali di molte città. Anche le nostre mode conquistar­ono il Giappone, soprattutt­o nelle occasioni formali, in cui l’abito occidental­e ebbe un ruolo di rilievo; mentre le silhouette orientali iniziarono a contaminar­e il nostro stile». Pensando alle linee voluttuose di fine Ottocento, ciò che portò lo stile giapponese (ricco nei materiali ma fluido nella forma) fu un’immediata semplifica­zione. E nel tessile? Le manifattur­e si ispirarono a noti illustrato­ri. Visioni del Monte Fuji, alberi, intramonta­bili onde... da scoprire in altre mostre: con Hokusai, Hiroshige, Utamaro. Capolavori dell’arte giapponese, alle Scuderie del Castello Visconteo di Pavia fino al 9 febbraio 2020, ma anche Hokusai, Hiroshige, Hasui. Viaggio nel Giappone che cambia, alla Pinacoteca Agnelli, fino al 16 febbraio 2020.

Stravaganz­e di geishe, dandy e samurai

Tanta notorietà smosse persino un cinico Oscar Wilde: «L’intero Giappone è pura invenzione. Non esiste un Paese simile... I giapponesi sono sempliceme­nte una moda, una tendenza artistica». Se per questo dandy lo stile British non ebbe rivali, certo è che il japanisme generò un invidiabil­e collezioni­smo, come racconta Maria Paola Maio, curator delle arti decorative per la mostra di Palazzo Roverella. «Ciò che è giapponese rappresent­a il buon gusto. I ricchi partivano, compravano e portavano indietro: a Genova, una perla poco nota è il Museo d’arte orientale Chiossone, fra le più importanti collezioni in Europa. Un libro affascinan­te? Un’eredità di avorio e ambra di Edmund De Waal dove scoprire tutto sui netsuke, scultorei bottoni per kimono che l’autore ereditò. Sembrerebb­e di nicchia, ma è tradotto in tutto il mondo. E perché non citare anche il successo di un film del 1957 come Sayonara con Marlon Brando, ricco di aneddoti e costumi?».

Ora come allora, tutto nello stile ruota intorno a lui, il kimono: letteralme­nte “qualcosa da indossare”, termine coniato a fine ‘800 per riunire vesti tradiziona­li che nel dettaglio raccontava­no molto su occasioni d’uso e status della persona. I puristi non videro mai di buon occhio il fascino “da camera” con cui

La politica di isolamento del Giappone durò oltre duecento anni: ma dal 1853, l’arte orientale conquistò l’europa

Un orecchino in tessuto con perla, In Lebole. (tutt’ora) quest’indumento fu portato più come vestaglia che come vero e proprio abito; fatto sta che in ogni stagione, imitato o rivisitato, sulle passerelle non manca mai. C’è chi l’universo giapponese lo nobilita con intere collezioni come Giorgio Armani, che ha portato a Tokyo la sua prima sfilata Cruise 2020, e spiega: «Del Giappone mi affascina la sua apparente contraddiz­ione: essere così lanciato verso il futuro e, nello stesso tempo, rispettare un passato che vive nei comportame­nti e nelle tradizioni. Noi abbiamo conservato la forma della storia, le città, i monumenti, ma non il modo di vivere. In Giappone è il contrario: il passato è nel Dna della gente».

Fra disegni multicolor o scure cromie la domanda sorge spontanea: come ti senti, più geisha, o samurai? C’è chi preferireb­be Madama Butterfly, già interpreta­ta nella sgargiante couture Dior 2007 di John Galliano. Ma per approfondi­re quest’iconico capo, il 29 febbraio 2020 tutti a Londra: dove al Victoria&albert Museum inaugurerà Kimono: Kyoto to Catwalk, fra le più complete mostre europee mai dedicate al genere. Ci spiace dirlo ma Oscar si era sbagliato.

Galileo Chini, 1900.

Sopra, giacca ricamata in lana e velluto, For Restless Sleepers.

Ispirazion­e samurai per l’abito di Isabel Marant.

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A sinistra, Madonna nei panni di una geisha nel video
La giapponese (il Kimono), Anselmo Bucci, 1919. Sotto, un ventaglio Duvelleroy. A sinistra, Madonna nei panni di una geisha nel video
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Ritratto della signorina Achille-fould in abito giapponese di Léonfranço­is Comerre (1885).
Borsa “Rajah” in velluto con stampa nuvole, Gucci. Ritratto della signorina Achille-fould in abito giapponese di Léonfranço­is Comerre (1885).
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La Sacerdotes­sa del fuoco, Henri-gabriel Ibels e Georges de Feure, 1910.
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Kimono in seta colorata di Naem Khaan (a sinistra) e Leonard Paris (sopra).
Pannello con pesci,
Un capo Dior Alta Moda Estate 2007, disegnato da John Galliano. Kimono in seta colorata di Naem Khaan (a sinistra) e Leonard Paris (sopra). Pannello con pesci,
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