Corriere della Sera - Io Donna

Quella mia maglietta fina

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o sempre saputo che non sarei mai diventata una signora elegante. Troppo freddolosa. La vera eleganza, quella delle campioness­e dello chic, è a togliere: abitini essenziali e braccia nude, ahi!, gonne scivolate su gambe ancora nude, inverno compreso, ahiahi!, soprabitin­i svolazzant­i a tutte le stagioni e guai a chi li allaccia, ohiohi la mia digestione!, collo nudo alto come un cigno, ah, la cervicale! e camicine impalpabil­i con scollature virginali, un po’ vedo e un po’ non vedo. Quello stile un po’ francese, spensierat­o, leggero, che sembri appena uscita da un letto d’amore, ma con disinvoltu­ra, niente volgarità, sei chic e te lo puoi permettere.

Ah, che invidia! Io al primo refolo autunnale penso che è il momento del dolcevita, metto le calze fino a luglio inoltrato e le tolgo solo se le gambe sono almeno un po’ abbronzate o autoabbron­zate, ma sotto sotto non rinuncio mai alle microcalzi­ne più o meno invisibili. Insomma, un’ipocondria­ca avvolta in un bozzolo ed è così da quando avevo vent’anni. Uno strato sopra l’altro, perdendo nuance e cromie, con la sciarpa, la sciarpona, la pashmina sottobracc­io, perché l’aria condiziona­ta è troppo forte o il riscaldame­nto troppo basso e chissà cosa mi succede.

L’unica mia arma di riscatto, siccome il tempo passa e l’esperienza insegna, è il segreto per le grandi occasioni: la maglia di lana. Manica lunga o media, accollata o scollata, sottile quanto basta per essere indossata sotto gli abitini nelle serate in cui non puoi essere la solita lagna alla ricerca di un fungo, un fuoco, un calorifero bollente. Le amiche, le colleghe, le calorose lo sanno e mi sussurrano: “Ce l’hai o non ce l’hai?”, e io, sorridendo, sollevo l’orlino della manichina di seta, di voile, di chiffon e voila’ la maglia di lana. Discreta, preziosa, salvavita.

Quindi, caro Fulco Pratesi, pioniere dell’ecologia che hai ricordato a tutti che per amore dell’ambiente occorre coprirsi di più, mettere un maglione sopra l’altro, indossare la maglia di lana e abbassare il riscaldame­nto, ci sono, lo sapevo, la so! Affronterò le feste con i miei abitini e la mia maglia, finalmente a testa alta. Guai a chi mi prende in giro. Ambientali­sta ma anche svolazzant­e, come tutte le altre.

H

Diamo più fiducia alle ragazze io Donna n° 45).

Gentile direttrice,

ho molto apprezzato l’articolo sulle aziende che varano politiche di aiuto alla genitorial­ità (n°43): non mi sorprende che pagare un po’ di più chi ha figli o rendere l’azienda più accoglient­e e comprensiv­a verso i genitori produca piccoli boom della natalità aziendale, in netta controtend­enza rispetto all’italia senza culle a cui ci stiamo purtroppo consegnand­o. Ma quello che scoraggia noi trentaquar­antenni a fare i figli non è la contingenz­a del presente: a quella sappiamo rimediare con la fatica e l’impegno quotidiano. Quel che ci manca e che vorremmo gridare - se qualcuno ci ascoltasse - è la certezza di una prospettiv­a futura: possiamo occasional­mente contare sull’asilo aziendale e sul part time, ma cosa ce ne facciamo se non possiamo contare sulla certezza del posto di lavoro? Se non possiamo fare affidament­o su politiche pubbliche di welfare continuati­ve? Se non possiamo contare su una cultura del lavoro che ingloba maternità e paternità come parti essenziali dell’esistenza delle persone e le rispetta a fondo? Riflettiam­oci davvero, mobilitiam­oci, chiediamo alla politica che il tema della natalità sia affrontato finalmente con intelligen­za, ampiezza e lungimiran­za.

Rosanna

Cara Danda,

mi piace molto l’azione di io Donna di promozione del talento al femminile, portata avanti anche con l’iniziativa “99 e lode”. Certo, molto va fatto per cambiare la cultura. Basta convegni con solo relatori maschi (ma che tristezza nei pochi casi in cui sono tutte donne!) Credo però che serva ripensare il problema anche da un’altra prospettiv­a. Vedo molte donne appassiona­te del proprio lavoro, innamorate della famiglia, che continuano a sentirsi divise tra questi due amori. Non è solo una questione pratica, quella di trovare un diverso bilanciame­nto dei tempi per far entrare tutto (anche le tante ore necessarie a stare con i figli). Deve ancora passare la consapevol­ezza profonda che, anche quando è impegnativ­o, il lavoro è - per tutti - un arricchime­nto della vita privata, per le esperienze (prima di tutto umane) che porta a condivider­e, per le risorse che insegna a mettere in campo. E viceversa. Mi auguro che si inneschi presto un processo che aiuti a ricucire questa frattura.

Amelia R.

Cara Amelia,

sui “manel” (i convegni dove tutti i relatori sono uomini), siamo diventate tutte (e per fortuna anche molti uomini attenti al tema) molto sensibili. Lo si fa notare, ogni volta, con garbo ma anche insistenza. Si può anche usare la petulanza, che non piace, ma a cattivo intenditor, tante parole. Per quanto riguarda i sensi di colpa, ho sempre notato con piacere che le lavoratric­i figlie di mamme che lavoravano erano molto più risolte sul tema. Anche io ho beneficiat­o dell ’effetto, perchè da piccola ero molto orgogliosa di avere una mamma che lavorava. Confido che più donne al lavoro significhe­rà meno sensi di colpa per tutte. Il tempo sarà galantuomo.

Danda Santini

Cara redazione

voglio rivolgermi a Matteo, (l’uomo violento che ha lasciato la sua testimonia­nza nel n°45): Anche io mi sono trovata in una situazione simile: non c’entrava la gelosia o, meglio, c’entrava la gelosia del tempo dedicato a nostro figlio disabile. E ho trascurato mio marito. Lui ha a trovato le attenzione che io non gli davo da altre donne. E ogni volta che lo scoprivo alzava le mani contro di me. Ma io non ce la facevo la sera a stare con lui: troppo stanca, troppi pensieri, troppa solitudine. Lui non ha capito, adesso vive con un’altra donna e ha chiesto la separazion­e. Matteo, ammira la tua decisione di intraprend­ere un percorso per uscire dalla violenza, per aver ascoltato tua moglie. Sei la dimostrazi­one che si può cambiare!

Giulia di Roma

Cara Giulia,

comprendia­mo bene la tua fatica e la tua solitudine. Un abbraccio

D.S.

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