Corriere della Sera - Io Donna

Quello che le donne raccontano

Esiste un modo “normale” per uscire da un lutto?

- Antonella Baccaro abaccaro@corriere.it

Questa settimana facciamo due passi indietro sperando di farne uno avanti. I due passi indietro li facciamo per recuperare una rubrica di qualche settimana fa in cui parlavo di un film: Rosa di Katja Kolja. Raccontavo come la protagonis­ta, una donna matura che ha perso una figlia, risalisse alla vita privata di lei aprendone i cassetti e scoprendo, tra l’altro, che era titolare di un sexy shop insieme alla compagna. È proprio quest’ultima a iniziare Rosa a un percorso di recupero della propria sessualità che la riconcilia con se stessa ma anche con la sua perdita.

Credevo che un percorso simile di ritorno alla vita avrebbe suscitato curiosità, attenzione, sorpresa. Tutto fuorché ostilità. Invece ancora la scorsa settimana ho ricevuto all’indirizzo che leggete qui sopra critiche, cui peraltro avevo già in parte risposto nella rubrica delle lettere. Paolo in particolar­e osserva: «I media, proponendo sempre comportame­nti trasgressi­vi, in quanto la normalità non fa notizia, aprono una breccia che a poco a poco li rende sempre meno trasgressi­vi fino a farli diventare normali. Una volta che saranno diventati normali si andrà alla ricerca di nuove trasgressi­oni, intossican­do in tal modo la società, e i risultati sono sotto i nostri occhi».

Ora, il motivo per cui avevo scelto quel film non era certo la sua trasgressi­vità. Le sale sono pieni di film trasgressi­vi. La cosa straordina­ria è che sono colmi di banalità. Prendiamo le 50 sfumature: un mucchio di luoghi comuni messi insieme a esclusivo scopo voyeuristi­co.

Nel film Rosa il percorso insolito di Rosa è finalizzat­o al suo ritorno alla vita. L’accusa è che non ne avrei scritto se il cammino fosse stato “normale”, cioè favorito dalla preghiera. Non lo so, non escludo di scrivere di un bel film sulla preghiera come strumento di rinascita. Il punto è un altro. Il punto è che da chi si professa credente mi aspetterei maggiore empatia nei confronti del dolore altrui e dei percorsi alternativ­i che ciascuno trova per uscirne. Perché in fondo poi cos’è “normale”? Il dolore è dolore. E la fede è un dono, non una pista da sci che chiunque può imboccare con la certezza di arrivare al traguardo.

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