Corriere della Sera - Io Donna
Il cervello indovina le parole prima che siano pronunciate
Una guida per chi sta vicino alle donne in cura Anche agli uomini conviene una nuova parità
Il cervello predice le parole che il nostro interlocutore deve ancora pronunciare e corregge, quando serve con prontezza, eventuali errori che porterebbero a un’errata comprensione. Ad affermalo, sulla rivista un team di scienziati della Sissa di Trieste. Hanno scoperto la capacità del cervello di comprendere, anche in situazioni complicate, incerte e rumorose, con l’aiuto di due esperimenti distinti, in ciascuno dei quali hanno arruolato 30 volontari. «Sulla base dei primi stimoli uditivi, che ci arrivano in diretta, il nostro cervello è proattivo, fa una previsione e suggerisce una soluzione» spiega Yamil Vidal ricercatore in neuroscienze dell’istituto triestino, aggiungendo: «Questa capacità potrebbe funzionare per qualsiasi altra esperienza uditiva, dalla musica ai suoni ambientali».
Affrontare la malattia, nel caso specifico il tumore al seno, non è facile neppure per chi sta vicino alla donna malata. Mariti, madri, familiari possono restare incerti sulle parole da usare, sui gesti da compiere, sulle domande da fare.
il vademecum realizzato dall’associazione Europadonna - illustrato da Pat Carra e con il contributo delle psicologhe Cristiana Rinaldini e Paola Pellecani – accompagna nella quotidianità e si cura sia del benessere della persona malata sia di chi la sostiene. Si scarica da
mano, Dammi la europadonna.it/ progetti/caregiver
Come stanno i maschi italiani? Mediamente meglio dei loro nonni, ma non riescono a raggiungere le loro compagne e sorelle nell’aspettativa di vita. Per ragioni biologiche certamente, ma non solo: gli uomini ancora oggi si trattano male quando ci si riferisce a stili di vita e alla prevenzione. Sappiamo che gli europei sono vittima soprattutto di malattie cardiovascolari, tumori, diabete e patologie respiratorie. Si stima che nel 2019 in Italia circa 37mila uomini si saranno ammalati di tumore alla prostata, 24mila di tumore alla vescica, e
2200 di tumore al testicolo. Ridurre i fattori di rischio e, se la malattia arriva intercettarla, presto segna la differenza. La gran parte degli incidenti sul lavoro riguardano maschi e gli uomini di ogni estrazione sociale bevono più alcolici, fumano di più, mangiano in modo meno salutare rispetto alle donne. Vanno meno dal medico e fanno meno controlli, faticano a riferire sintomi e malesseri preoccupanti. E allora io penso che ci voglia una piccola grande rivoluzione di genere. E che debba passare dalla scuola dallo sport, dall’ambiente di lavoro dalla vita di coppia e dalle donnne che ci vivono accanto. Il punto di partenza, però, non può essere che uno: capire che per proteggere ciò che amiamo nella vita dobbiamo cominciare ad avere più cura di noi stessi. Prof. Paolo Veronesi
Presidente della Fondazione Umberto Veronesi e Direttore Divisione Senologia Chirurgica dello IEO
E può capitare che i bambini che ne sono affetti siano penalizzati su alcuni fronti, come quello sportivo, non sempre a ragione. Un esempio? La scomparsa tragica di un ragazzo a scuola, poche settimane fa, durante l’ora di educazione fisica (per motivi verosimilmente cardiologici), è stata accostata al fatto che soffrisse di epilessia. E questo ha alimentato nuovi equivoci. «Di epilessia esistono più forme con sfaccettature diverse, ma in generale l’attività fisica non agonistica può essere svolta senza problemi, anche se alcuni sport sono senz’altro da preferire» dice Oriano Mecarelli, presidente Lice (Lega italiana contro l’epilessia). «Sì all’atletica e agli sport di squadra: se il bambino ha una crisi, al massimo, cade. Le cose si fanno più complicare con sport più rischiosi come le immersioni, il paracadutismo, l’equitazione o il ciclismo, da evitare». In molti casi, può essere concessa anche la pratica agonistica, ma non sempre il medico sportivo dà l’autorizzazione. In generale, comunque, lo sport è un mezzo efficace per abbattere le barriere e consentire che sia fatto “gioco di squadracon il compagno affetto da qeusta condizione anche in classe. Per questo la Lice ha lanciato una campagna educativa rivolta ai ragazzi dagli 8 ai 12 anni, e agli insegnanti (6 su 10 ammettono di non saper gestire una crisi). Il progetto si basa su di una piattaforma digitale interattiva
che spiega la patologia, il suo impatto sul bambino e insegna a intervenire in caso di crisi epilettica. Antonella Sparvoli
L’epilessia è ancora fonte di pregiudizi. (educazione digitale.it/epilessia)