Corriere della Sera - Io Donna
MIO MARITO
«Anna vuole sentirsi indispensabile per Dostoevskij, per la letteratura russa, per la Russia intera»
Anja Grigor’evna Dostoevskaya, nella sala di Dostoevskij del Museo storico di Mosca, 1916.
trema. Perché lo sa come sta. Non è così vecchio, ma è ridotto male e non è affatto sicuro di farcela. Tutto è cominciato da giovane, quando è stato condannato a morte per sovversione ed è stato graziato così in extremis da rimanerne traumatizzato per tutta la vita. Poi ha passato anni in Siberia prima di poter tornare in quella Pietroburgo dove vive ora a Palazzo Alonkin, appartamento 13.
È in quella casa che lo raggiunge un giorno di ottobre Anja Grigor’evna, diciottenne studentessa di stenografia, la migliore del suo corso. Gli amici hanno consigliato a Dostoevskij di farsi aiutare da una segretaria che padroneggi quel nuovo metodo Gabelsberger di scrittura rapida, da poco messo a punto da un calligrafo tedesco. E quella ragazza è un portento: velocissima, precisa, resistente. Gli farà risparmiare un sacco di tempo. Così Anja è stata tolta dai banchi di scuola, letteralmente, per aiutare uno scrittore celebre che tra l’altro è uno dei preferiti di suo padre (e che di suo padre ha anche l’età, dal momento che 25 anni li separano).
Che responsabilità. Lei, la ragazzina con a tracolla la borsa logora che contiene in bell’ordine i fogli, i pennini, i calamai, potrà fare la differenza. Dostoevskij – o, come lei lo chiama, Fëdor Michajlovič – non fa mistero con lei del patto faustiano col perfido Stellovsky: deve riuscire a scrivere quel nuovo libro negli impossibili tempi dati. È una scommessa tremenda e il romanzo che lui cercherà freneticamente di mettere nero su bianco sarà proprio Il giocatore: conosce così bene quell’ambiente, quelle sensazioni. Gli piace anche autocommiserarsi un po’. «Tutto mi costringe!». A Tolstoj una cosa simile non sarebbe mai successa. «Ah, beato Tolstoj, che può scrivere cinque pagine per salvarne una! (..) Ma cosa pensate? Che non sia il mio sogno scrivere come... come Tolstoj? Mi spiace, non posso. Fossi ricco, ma non lo sono». E comincia il count down dentro quel microcosmo pazzesco, dove lui vive col figlio disturbato della moglie morta, con la vecchia serva Fedosija, con la sua epilessia violenta, con le sue paure, col suo carattere impossibile, col suo tremendo vizio del fumo che intride le pareti, avvolge tutto in nuvole puzzolenti e fa tossire la stenografa. La quale però non si lascia scoraggiare. Lei è una tosta: le piacciono le missioni, anche impossibili. Salverà quell’uomo.
Ogni mattina va nel piccolo inferno di Palazzo Alonkin. Dalle 11 alle 17 lui fuma e detta, quante parole al minuto? 150? 200? 250? Un record. E poi deve tornare a casa e trascrivere tutto in bella, prepararlo per il giorno dopo, quando lo scrittore rileggerà e ripenserà e correggerà: «No, fatemi rivedere! Dov’era il punto esatto? Ma questo è inutile, è di troppo!». Tic tac, tic tac, le ore, i giorni passano. Presto le 11 diventano le 9, il tempo stringe, la giornata di Anja ha troppe poche ore e non son concesse deroghe: le basteranno «scampoli di sonno».
Quando il Maestro ha un attacco epilettico che lo riduce a malpartito, bisogna poi recuperare. Quando lei si ustiona una mano, bisogna far finta di niente. Tutte quelle mattine e quei pomeriggi insieme, a condividere le esplosioni creative, i momenti di sconforto, i dubbi, la rabbia, i silenzi,
Anja, la segretaria di Dostoevskij