Corriere della Sera - Io Donna
Ok, boomer
Il giovane collega mi aspettava per l’intervista nella saletta riunioni. Per niente al mondo avrei rinunciato ad apparire nella sua rubrica “Berchettiani celebri” sul mensile del mio vecchio liceo. È così giovane che quando lo vedo ho un senso di spaesamento, come incontrare gli amici dei figli in ufficio: sedici anni, camicina azzurra e girocollo blu, occhi grandi e sguardo intimidito. Sembra ancora più piccolo in questa stanza da riunioni di budget, apre il libriccino con le domande e mi spiega che la sua rubrica è molto gettonata: “Abbiamo un elenco lungo così di ex alunni, ma alcuni sono molto anziani e dobbiamo fare alla svelta, prima che… vabbè, non è il suo caso, non si preoccupi”. Scopro con piacere che alla guida ci sono due direttrici (usa proprio il femminile, quasi mi commuovo ) per di più “rivoluzionarie”: cercano di limitare le interferenze dei professori e l’intervento del Preside, che rilegge tutto perché vuole si segua una linea di obiettività.
Poi mi chiede com’era il liceo “ai miei tempi”. Chiudo gli occhi e sono di nuovo lì, classe I C, anno 1976. Erano gli anni di piombo, noi boomers eravamo tanti e dappertutto, c’era sempre agitazione, la politica regnava sovrana, univa e divideva, e sì, c’era tanta violenza. Ma a sedici anni sei incosciente, le tue paure sono l’interrogazione di matematica e che il ragazzo carino della classe dei grandi non ti noti. Mi chiede delle ragazze, quante eravamo. Me lo ricordo bene: un terzo femmine, due terzi maschi. Ora le proporzioni sono capovolte: due terzi le ragazze, un terzo i maschi. E sono toste, alte una spanna più dei loro compagni, già donne quando loro sembrano ancora bebè, le più attive nei gruppi di istituto. E questa è una svolta decisa: io ricordo assemblee rumorose, fumose in tutti i sensi, dove solo i maschi si accapigliavano per il microfono in aula magna. E voi?, mi chiede giustamente lui. Mah, noi femmine ci riunivamo in gruppi di autocoscienza, altrettanto fumosi. No, non avevamo la sensazione di essere minoranza. Però mi torna alla mente quando il professore di filosofia, che aveva organizzato gite filosofiche in montagna solo con i ragazzi della classe, forse accorgendosene in ritardo, mi aveva chiesto, gentile “Ma lei, Santini, non vuole unirsi a noi?” e io, sfrontata che ero, l’avevo gelato: “A prepararvi panini?”, e ancora adesso me ne vergogno un po’.
E voi come vi trovate, gli chiedo, con così tante ragazze? Lui, limpido e diretto, riconosce che oltre che più numerose sono più spigliate, quindi è naturale che la loro voce prevalga. Suo papà gli ha consigliato di farsi sentire di più, ma molte di loro hanno il piglio giusto da leader (dice proprio leader, senza esitazione), sono molto propositive, non solo sui progetti scolastici, spingono per i progetti che amano, come le Olimpiadi della danza (io mi ricordo - allora - solo tornei di calcio e qualche timida puntata di pallavolo). E ti dispiace? “Ma no. In fondo hanno tante buone idee, aiutano e io le seguo volentieri. Va bene così”. Che Dio lo benedica. Adoro questi Millennial. Così tranquilli, così pragmatici.
Carissime,
raccolgo il vostro invito (in Il buono e il cattivo, n° 46) e provo a spiegare cosa riesce sempre a sorprendermi piacevolmente. Nulla delle cronache di una realtà sociale “liquida”: invece, ciò che riesce sempre a a cogliermi di sorpresa, fino quasi alla commozione, è il rapporto tra il cane pastore e il suo padrone. Da una mia piccola proprietà in montagna, ho potuto osservarli a lungo al lavoro, notando come i due se la intendono al volo solo con uno sguardo, un gesto, una parola. Di come il cane sia compreso nel suo ruolo e di come esiga l’approvazione del suo padrone in dignitosa e consapevole obbedienza. Un servigio ricambiato con riservatezza e poche smancerie. Mi sorprende piacevolmente: ognuno dei due mantiene i propri confini nel rispetto dell’altro attraverso una leale e sincera collaborazione. Sono colleghi, sono amici, sono liberi.
Ornella Ferrari Pavesi
Gentile redazione,
a proposito dell’articolo di Virginia
Ricci, La bellezza che viene dall’oriente (io Donna,
n° 46) mi piacerebbe aggiungere ai libri affascinanti citati quelli di Lafcadio Hearn che raccontò il Giappone del periodo Meiji e di cui alcune opere sono state tradotte in italiano;
Ombre giapponesi, Nel Giappone spettrale, Kokoro.
Giornalista, traduttore, scrittore ha rappresentato e tuttora rappresenta una fonte importante di conoscenza.
Raffaella Salvadori
Gentile Elena Meli,
leggo ne Il corpo violato delle donne (n°46): «Non tutte le mutilazione sono eguali: si va dalla asportazione del prepuzio a quella del clitoride, fino al taglio delle piccole e delle grandi labbra» come spiega la ginecologa Lucrezia Catania. Mi ha sorpreso scoprire che in quanto donna ebrea, avrei avuto un prepuzio che mi è stato asportato. Senza contare che mentre la mutilazione femminile è dolorosa, la circoncisione maschile, praticata da ebrei e musulmani come pratica religiosa ma anche da moltissimi altri, soprattutto nei paesi anglosassoni come misura igienica, non è una mutilazione perché non dà nessun problema a posteriori. Certo, va effettuata in perfette condizioni igieniche.
Simonetta Heger
Gentile Simonetta,
secondo la definizione OMS l’asportazione del prepuzio (lo abbiamo anche noi, talvolta è chiamato “cappuccio del clitoride”) è una mutilazione genitale femminile: lo è infatti qualsiasi procedura che preveda la rimozione, parziale o totale, o una lesione dei genitali della donna. Le mutilazioni non sono prescritte da alcuna religione, hanno a che fare con le tradizioni locali: una donna ebrea falascia dell ’Etiopia quasi certamente ne ha subita una, un’ebrea europea no. Nessun medico paragonerebbe la circoncisione maschile a una mutilazione femminile; sono però pienamente d’accordo con lei che questa pratica andrebbe eseguita in totale sicurezza, in ospedale.
Elena Meli
Gentile redazione,
voglio condividere con voi l’esperienza psicoteatrale che quest’estate ha coinvolto 11 donne, dai 26 anni ai 60 anni, al Casale di Civita di Bagnoregio per imparare a interpretare le emozioni attraverso il teatro. Caterina Venturini, attrice formata alla Bottega di Gassman, ci ha coinvolte in diverse attività per la conoscenza e la fiducia reciproca, di rilassamento, di uso corretto della voce, di memorizzazione ed interpretazione di monologhi, di gestualità, di scrittura. A volte, le maschere coprivano i volti per dare risalto al gesto, al corpo, alla voce e non coprivano l’emozione che emergeva fino ad invadere lo spazio intorno, la scena.
Barbara Avanzini
Gentile direttrice,
ecco la mia selezione delle priorità (metodo mio: molto spartano... ma efficace!) Grazie io Donna, un appuntamento fisso con me stessa.
Cristina