Corriere della Sera - Io Donna
Prendersi la libertà di fare fatica
In un mondo dove tutto è comodo e a “domanda”, dal caff è in capsule alle serie tv, quanto costa impegno e tempo rischia l’estinzione. Ma un pericolo c’è soprattutto per noi: quello di vivere giornate intere senza assaporare nulla
Le capsule di caffé pronte all’uso, la spesa fatta su Internet e consegnata a casa, la cena esotica alla porta, gli acquisti con il telefonino, le nostre canzoni preferite (passate, presenti e probabili) messe insieme da un algoritmo, l’intera stagione di una serie televisiva da vedere in blocco. La comodità, anzi: le comodità al plurale ci hanno reso impazienti, incapaci di aspettare una settimana per scoprire che cosa succeda nel nuovo episodio, maldestri quando dobbiamo (re)imparare a misurare acqua e caffè macinato nella moka senza versare tutto intorno. Analfabeti di ritorno della quotidianità, sudditi (viziati) di quella che Tim Wu, docente alla Columbia University di New York, ha definito la «tirannia della comodità».
Senza cascare nel passatempo passatista del “si stava meglio, quando si stava peggio” - e i panni si lavavano a mano invece che in lavatrice o registrare una compilation sulla cassetta ti portava via pomeriggi interi - il professor Wu fa notare che le innovazioni tecnologiche hanno smussato gli sforzi, sì, ma anche abraso il piacere di compierli: «La comodità è tutta destinazione - ha commentato sul New York Times - e niente viaggio». Così privilegiamo quello che è facile, i risultati che possiamo raggiungere senza intoppi, «pretendiamo l’immediatezza della riuscita e ci irritano le mansioni che richiedono ancora il vecchio concentrato di fatica e tempo».
Comodo, agevole, fattibile, realizzabile, eseguibile, scorrevole, fluido. Sono tutti sinonimi figli del multitasking, dello sbrigare più attività alla volta senza compierne alcuna. Il contrario dell’artigianato, del lavorare con le mani, o della sua versione ricreativa, gli hobby, richiamo nostalgico a tempi meno confortevoli. Il contrario, anche, del lavorare con la testa - e magari rompersela - cercando di interpretare un testo difficile. «Ci sono studenti che vorrebbero Nietzsche - scrive Mark Fisher in Realismo Capitalista - nello stesso modo in cui vorrebbero un hamburger: quello che non colgono, ed è un fraintendimento alimentato dalle logiche del sistema consumistico, è che l’indigeribilità, la difficoltà, è Nietzsche stesso». Il rischio è vivere una vita tritata, premasticata, semplice da buttar giù. E ritrovarsi un giorno senza denti per assaporarla.
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La rubrica torna il 14 dicembre.