Corriere della Sera - Io Donna
UN’ACCADEMIA PER FORMARE OGNI TALENTO
UL’accademia Teatro alla Scala, che oggi conta 1700 allievi, è divisa in quattro dipartimenti (musica, danza, palcoscenico-laboratori, management), per formare ogni profilo professionale legato al teatro musicale. A sei mesi dalla fine dei corsi, il 75 per cento degli studenti (in certi settori il 100) ha già trovato un’occupazione. Scuola di merito, ogni anno eroga più di 600mila euro in borse di studio. Info: n’irruzione di gioia. L’unica, nel dramma di Floria Tosca e dell’amatissimo Cavaradossi. «Nella scena della Cantoria, nel primo atto, i ragazzi entrano, saltano, corrono intorno al sacrestano con una facilità e una naturalezza che è difficile ottenere dai grandi. È come se giocassero: sono spontanei, non si nota recitazione “forzata”. E sì che è una parte a rischio: bisogna stare a tempo (che è veloce) pur muovendosi rapidamente, con l’orecchio sull’orchestra e l’occhio sul direttore». Bruno Casoni, nella platea della Scala, è soddisfatto della prova dei suoi allievi del Coro di Voci Bianche dell’accademia, che il 7 dicembre si esibiranno nella Tosca con Anna Netrebko e Francesco Meli nei ruoli principali, Riccardo Chailly sul podio.
La regia è di Davide Livermore, che (sorpresa!) non ha creato slittamenti temporali come in Attila o Tamerlano: l’azione resta nella Roma del 1800. «Non c’era margine d’intervento: la partitura di Giacomo Puccini è già una descrizione perfetta dei tempi dell’azione e dei tempi dell’anima» spiega, e assicura di aver trovato facile lavorare con i giovanissimi. «Basta trattarli da persone e non da bambini, ricordare loro che partecipano all’evento culturale più importante d’italia. Puntare sul senso di responsabilità».
Un gioco di squadra
Casoni sa meglio di chiunque quanto lavoro ci sia dietro questo “senso di responsabilità”. «Gli allievi dell’accademia (vedi riquadro sopra, ndr) frequentano due lezioni alla settimana, da ottobre a giugno, e l’impegno aumenta quando stiamo preparando un’opera o un concerto» spiega lui, una vita dedicata alla musica («A cinque anni già intonavo romanze con la fisarmonica») e una miniera di aneddoti («Ho accompagnato Claudio Villa, ho girato il mondo con un trio jazz, ho persino suonato al piano Moon River con Audrey Hepburn accanto»). Casoni
“Nella scena della Cantoria bisogna tenere il tempo pur correndo, con l’orecchio sull’orchestra e l’occhio sul direttore”
dirige anche il “Coro dei grandi”, un’altra eccellenza scaligera. «Il metodo è diverso nei due casi: gli adulti sono professionisti chiamatela arte, comunque resta sempre un lavoro - e le regole sono dettate dal contratto. Con i bambini va impostata in modo meno rigido. Aiuta il fatto che, per indole, sono predisposti a stare assieme, al gioco di squadra. I protagonismi non prevalgono, a meno che non si intromettano i genitori: “Perché mio figlio è qui e non là? Perché non davanti?”. (sorride) I piccoli non hanno di queste fisime. Cantare in coro insegna la disciplina: dover avere un suono compatto con chi ti sta vicino è un esercizio intenso. I percorsi non sono però omogenei, ci sono evoluzioni e involuzioni: il timidissimo che non pare portato e all’improvviso sboccia, l’entusiasta che piano piano perde interesse...».
Non è il caso di Gianluigi Sartori, 11 anni e 5 d’esperienza, compreso il Gianni Schicchi a luglio con la regia di Woody Allen. In Tosca sarà il pastorello, e avrà quindi l’unico brano da solista fra le Voci Bianche. «Paura? No! È divertimento. La mia vita è cantare, voglio farlo pure da grande, benché non tralasci il violino».
«Devi continuare con il violino!» interviene Casoni. «Fino a 18-20 anni non si può sapere cosa sarà della voce: la muta per i maschi è molto lunga, la loro tonalità si abbassa di un’ottava. Per le femmine il cambiamento è meno traumatico».
Almeno in questo le donne sono avvantaggiate, osserviamo, e se la ridono la quindicenne Noemi Arcelli e la diciassettenne Francesca Calori, altre due “veterane” accomunate da maturità e consapevolezza. «Cantare è terapeutico: a volte inizi che sei carico d’ansia e d’adrenalina e, alla fine, i “nodi” si sciolgono, come se il fiato liberasse qualche “ostruzione