Corriere della Sera - Io Donna
L’identità (confusa) dei genitori di oggi
Eva non è padre, non è madre biologica e si chiede quale ruolo possa avere con il figlio. Ma il dubbio non riguarda solo le coppie arcobaleno. Oggi le famiglie occidentali, sostiene una psicoanalista, dovrebbero prendere esempio dalla popolazione del Beni
Non è detto che si faccia viva sempre ma, quando nasce un bambino e i genitori sono due mamme, la domanda in agguato per una delle due può somigliare a questa: se non sono la madre biologica, e neanche il padre, chi sono? Se lo sarà chiesto
Eva, nonostante l’apparente disinteresse per ruoli e definizioni, e chissà quante altre. Domanda importante soprattutto se un dubbio simile può influire sulla stabilità di questa nuova famiglia. Può? «Difficile dare una risposta su un tema così complesso, è più utile forse riflettere sulla genitorialità, ovvero su come siamo capaci di essere genitori e di contribuire alla vita. Certamente Adele lo fa nella carne, Eva deve incarnare l’essere madre» precisa Carla Busato Barbaglio, psicoanalista, esperta di famiglie, bambini e adolescenti e autrice di (Francoangeli). «In nessun caso però l’essere madre è dato dallo status quanto piuttosto da una capacità di accoglienza profonda del nuovo nato e dalla qualità di relazione di una coppia che in questo caso è nuova anche per la società in cui oggi viviamo. Il punto, allora, è un altro: quanto i propri vissuti personali e identitari permettono di portare avanti in modo sufficientemente sano una esperienza così nuova e spesso difficile?», aggiunge. Le domande si sommano alle domande. «Lo psicoanalista inglese Graham Music ci racconta in pubblicato da Borla, che i Baatombu del Benin non hanno una parola per definire i genitori biologici o quelli adottivi perché per entrambi usano il termine “dare alla luce”. Certamente la nostra cultura occidentale propone e studia le relazioni di attaccamento madre-bambino in modo sempre più puntuale ma a questo va aggiunto oggi anche il concetto del dare alla luce - o crescere, se volete - i figli degli altri.
Gli ultimi studi sulla competenza dei neonati ci dicono che i bambini cercano sguardi fin dai primi momenti della vita, proprio per suscitare risposte positive che garantiscano la sopravvivenza. Poi diventano bravi, crescendo, a capire chi può fornire loro cure e sostegno. In questa prospettiva maternità equivale a “dare alla luce” nel senso di dare vita alla crescita di ogni nato. Quanto siamo realmente disposti e capaci nella società di oggi a occuparci della vita?» aggiunge Busato Barbaglio. Ogni maternità - che sia biologica, adottiva o frutto di nuove relazioni - può e deve trovare una sua strada capace di creare vita o dare alla luce, aggiunge. «La genitorialità sembra sempre più legata non tanto all’avere direttamente figli, ma al saperli crescere. Proteggerli, sapere porre dei limiti, accompagnarli nelle tappe evolutive. Viviamo nell’epoca dell’incertezza costante, alle prese con contesti in cui i limiti e i confini sono sempre più precari, ecco perché essere genitori oggi è una sfida necessaria».