Corriere della Sera - Io Donna
Maria Grazia Chiuri
oraggio è un cimento del cuore – dice lo scrittore Marcello Fois – Non ha una misura certa, non è frutto di esperienza, non ha una densità precisa. Con coraggio si ragiona in prospettiva piuttosto che anelare all’immediato”. Non sembrerebbe una parola che possa trovare il suo spazio nel mondo della moda, affermarsi in quel terreno comune di sentimenti, tradizioni, scambi sociali che la stanno definendo. Ma è questo concetto, osserva Maria Grazia Chiuri, diventato una conversazione tra donne, quindi riflessione e azione, la spinta potente del percorso intrapreso a Parigi. Quando nel giugno 2016 è diventata, nello stupore generale, il direttore creativo della maison Dior. Prima donna nella storia di un marchio che con Saint Laurent e Chanel ha definito l’immagine stessa dell’eleganza francese.
Maria Grazia Chiuri, che oggi vive stabilmente a Parigi dopo aver pensato nei primi mesi di poter organizzare lì una parte della settimana, in albergo, dedicandosi poi in solitario alla creatività a Roma, sente di rappresentare un’interessante fusione tra il savoir-faire francese e il metodo del design italiano. «Devo ringraziare mio marito che, conoscendomi bene e da lungo tempo, mi ha convinto a costruirmi anche qui una casa che mi rispecchiasse, dove riunire la famiglia, che è spesso in viaggio per studi e impegni professionali – mio figlio al momento è in Inghilterra – ritrovando tutto il calore delle nostre relazioni». È proprio per questa libera espressione dei sentimenti, questa facilità e felicità degli incontri, che è riuscita a organizzare il proprio lavoro come una mappa della cultura e dei sogni. Tra viaggi, scoperte e incanti.
Parlarsi via Skype, che all’improvviso cede e viene sostituito da schermi più piccoli, è una scelta di velocità per riuscire a incontrarsi in un momento denso di appuntamenti e traiettorie comunicative. Mentre l’ufficio stile sta preparando in contemporanea l’haute Couture che sfilerà a gennaio e la collezione pre-fall, presentando quell’elemento basilare che è la scelta dei tessuti per tutte e tre le linee. «In realtà il fatto di rimettermi in discussione è stato il punto di partenza per ripensarmi. I cambiamenti della propria vita portano necessariamente a un cambiamento di prospettive. Perché questo bisogna capire per prima cosa: non soltanto dove vai, ma anche da dove vieni».
delle famiglie romane – le Fendi, cinque sorelle guidate dalla regale Mamma Adele, e dominate da quello che chiamavano “il sesto fratello” Kark Lagerfeld – le reazioni che hanno accompagnato la sua nomina alla direzione artistica di Dior sono state la spinta a un ripensamento importante sul suo lavoro. «Mi sono chiesta il motivo di tanta meraviglia: tutto perché ero una donna? Però è servito a rimettermi in discussione. Ho cercato di capire a che cosa andavo incontro e che cosa, nella nuova proposta, mi affascina
Per lei, che ha esordito nella più matriarcale
va. In qualche modo mi è servito da autoanalisi. Lo dico sempre che questo lavoro mi serve come l’analista. Il difetto principale che trovo è che la moda spesso si prende troppo sul serio. Io invece sono convinta che bisogna riportare un po’ di leggerezza e di gioia. Sarebbe bello indossare soltanto quello che rende felici».
senza nascondersi che la moda è una potentissima forma di comunicazione che va messa a disposizione di chi ha qualcosa da dire, Maria Grazia Chiuri commenta che non esiste un solo fashion system, da Parigi a New York a Londra, che finora abbia capito l’importanza culturale della moda. «È sempre stata vista come una frivolezza, probabilmente per il retaggio cattolico che ci trasciniamo e che non ha permesso di capire quanto sia forte questo elemento culturale che però essendo anche un elemento pop, ha la capacità di arrivare dove altre espressioni di cultura non si spingono».
Per questo ha scelto di aprire l’haute Couture dell’autunno/inverno 2019/2020 con quel sorprendente abito bianco su cui era ricamata la scritta Are Clothes Modern? (Gli abiti sono moderni, ndr) che è il titolo del più discusso libro dell’architetto e scrittore Bernard Rudofsky? Maria Grazia ride. «Ho trattato l’abito bianco, l’unico di questa collezione, come una tela vergine, ponendo una domanda diretta che è al tempo stesso semplice e potente. Anche perché la relazione tra corpi e materiali è ora al centro delle mie riflessioni e i saggi di Rudofsky, novecenteschi eppure così contemporanei, hanno risuonato come un’eco».
È esplicita questa designer che dichiara di ispirarsi alla figlia ventenne Rachele, con la quale ama discutere e scambiare opinioni e che è una sua compagna nel tragitto del femminismo. Dove da stilista impegnata e creativa ha trovato il modo di indossare, letteralmente, le parole femministe, tra riflessione e interpretazione. A cominciare dalla t-shirt blockbuster con la quale inaugurò la sua stagione Dior: We should all be feminist, bisogna essere assolutamente femministe, titolo del libro più noto di Chimamanda Ngozi Adichie, la scrittrice nigeriana che è stata anche applaudita protagonista all’ultimo Bookcity Milano.
Senza complessi, senza timidezze,
“Il difetto principale della moda è che spesso si prende troppo sul serio. Credo che sia necessario ridarle un po’ di leggerezza e di gioia”
con la poetessa americana Robin Morgan e i suoi Sisterhood is Powerful e Sisterhood is Global. Sorellanza, il patto segreto tra le donne. Però, Maria Grazia, c’è chi la accusa di usare l’arte per vendere. «Vero, ma mi sembra talmente ridicolo... Come si può pensare che il fatturato Dior dipenda da una maglietta? E comunque io lo spiego sempre chiaramente: posso permettermi certe operazioni perché alle spalle ho un marchio che funziona». Del resto, come ha tagliato corto Robin Morgan e che Maria Grazia Chiuri riprende volentieri «Meglio stamparlo grande su una t-shirt che su un bottone». Se poi la t-shirt è Dior...
Come un manifesto, la storia prosegue