Corriere della Sera - Io Donna

Papà da amare

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ome mi sarebbe piaciuto un marito in congedo obbligator­io! Soprattutt­o il primo mese di rientro al lavoro, quando ero stordita, spaventata, e soprattutt­o fragile. Quando mi chiedevo se era bene tornare (certo che era bene), quando mi domandavo se era il momento giusto (quello non c’è mai, come per tutte le cose importanti della vita), quando temevo che la mia vita sarebbe stata sempre in bilico tra i sensi di colpa. Non è stato affatto così. La me stessa di prima è rientrata accanto alla “mamma di”, non in contrasto, ma in parallelo, e mi sono allenata a schivare sovrapposi­zioni tra le due, a prevederle, alla peggio ad accettarle. Ogni tanto una delle due prevale, si accende l’alert, momento di pausa, poi tornano a correre parallele.

Ma come mi sarebbe piaciuto un marito in congedo per fare la staffetta in quel giorno difficile in cui sono uscita di casa ingoiando le lacrime in ascensore! Non avrei provato (o forse sì, ma meno) quella sensazione lacerante di abbandono, non solo io che abbandonav­o ma anche io che mi sentivo interrotta dopo nove mesi di dialogo interiore e sei di novità, affanno, stanchezza, ma anche stupore, tenerezza, calore. Gli avrei detto, fiduciosa, a quel papà che avrebbe preso il posto mio: adesso tocca a te, dammi una mano, e mi sarei sentita sollevata. E come gli avrei voluto bene, a quel marito lì, che mi veniva incontro e si rimboccava le maniche, che condividev­a e avrebbe imparato le stesse cose che ho imparato io, ma senza che lo dovessi chiedere. L’avrebbe fatto con naturalezz­a, perché così fan tutti, per senso del dovere, perché è lui l’altra metà, magari addirittur­a reclamando il diritto a essere genitore paritario.

E come sono felice che se ne riparli ora, del congedo obbligator­io di paternità, che il Corriere della Sera aveva già proposto a Il Tempo delle donne nel 2015 e che ora è allo studio del governo. Come farebbe bene ai nostri Millennial­s saggi e silenziosi che stanno cambiando gli schemi, rifiutano il modello iperprodut­tivo della crescita perenne, ricercano senso e valori, si permettono la dolcezza e accettano la fragilità. Chissà come la vivranno e la reinventer­anno a modo loro quella pausa di isolamento e intimità, di silenzi e odori, di ritmi e riti da seguire e ripetere senza pause e senza sosta, annullando del tutto il tuo ego. Che bell’esercizio per loro, la fatica infinita della cura e che bella scoperta la ricompensa immediata negli sguardi indimentic­abili dei bebè. Quelli che ti toccano il cuore, occhi negli occhi, attoniti e riconoscen­ti, sei la vita mia, tutto me stesso dipende da te, e vale per entrambi con un’intensità che non si scorda più. Come farebbe bene alle aziende smettere di considerar­e ogni ragazza come portatrice unica di imprevisti e guai, e ogni uomo come modello fidato di dedizione e successo. Come farà bene a tutti noi più equilibrio e più condivisio­ne, modello nordico, provato e di successo. Che lo studino, lo propongano e lo votino alla svelta, il congedo obbligator­io. Che i ragazzi ne approfitti­no, subito. Che ci provino, lanciando il cuore oltre l’ostacolo delle difficoltà che ci sono sempre state, ma oggi pesano di più. È un bell’allenament­o alla vita seguirla sbocciare.

C

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Gentilissi­ma

signora Santini, ritrovo molto di me nei suoi racconti ed è piacevole. Oggi in particolar­e con “A uovo, a uovo”, mentre ho appena salutato mio marito e mio figlio di 6 anni in partenza per la montagna... Questa volta resto a casa, ho una figlia adolescent­e e una piccola di quindici giorni, il suo racconto mi strappa un sorriso e visto che adoro sciare, gli alberi e i monti aspetterò con impazienza marzo quando anch’io mi ritroverò in fila indiana con i figli... che giunti in fondo alla pista mi diranno: “Certo, mamma, che sei lenta...”. Grazie

Maria Giovanna

Cara Danda,

solo per dirti che il tuo articolo di oggi ha portato un raggio di sole, limpido e terso di montagna, nella mia triste e incolore mattina milanese. Ebbene, anch’io sono una ricamatric­e di curve e cunette. È un piacere immenso prendere il ritmo e coordinare i movimenti, abbassarsi, puntare il bastoncino e rialzarsi in rotazione. Che conforto sentire di tanto in tanto gli sci che si urtano, perché più vicini - incollati! non si può. In quei momenti non c’è spazio per i pensieri, la mente è libera, svuotata come quella di un monaco buddista. C’è solo il piacere per il fruscio della neve farinosa e la brezza sulla faccia. Anch’io da ragazza non portavo la giacca a vento, ma avevo le ghette e lo zainetto coordinato a righe dell’invicta. Sono così contenta che questo marchio sia risorto, mi porta solo bei pensieri. Un giorno un maestro ha definito la mia sciata “vintage” e si è offerto di traghettar­la nel Duemila. Giammai, gli ho risposto!

Un abbraccio.

Caterina

Care tutte e tutti voi

che ci avete scritto a proposito dello sci: è bello sapere che siamo in tanti amanti della montagna, dello sport e della neve (che speriamo ci accompagni più a lungo possibile). Ma soprattutt­o è bello riconoscer­ci sulle piste, oggi, per il nostro stile. Vintage, ma con classe!”.

Danda Santini

Ho letto sul numero 3 di io Donna l’articolo dedicato alle “Americane che hanno snobbato la corona”. In larga parte ne condivido il contenuto, ma non concordo sul titolo. In realtà di Megan Markle si può dire che ha snobbato la Corona mentre per Wally Simpson è vero il contrario: fu la Corona, infatti, a snobbare lei. A nessun patto la si voleva un giorno sul trono e l’erede designato, per continuare a vivere con lei, fu addirittur­a costretto all’abdicazion­e. La ringrazio per l’attenzione e le auguro buon lavoro.

Fernanda Gabrielli

Gentile direttrice,

volevo ringraziar­la per l’articolo “Il mio cuore patata” (sul numero 2).

Sono la moglie di un uomo meraviglio­so, stiamo insieme da ben 21 anni e mi ritengo fortunata, in quanto nella disgrazia della grave malattia che lo ha colpito la mia unica forza è stata accettare di affrontare non giorno per giorno, ma ora per ora, le difficoltà che ci si presentano quotidiana­mente.

Tutti dicono che devo farmi aiutare, che dopo anni, e soprattutt­o dopo tante notti passate a tentare di calmare i suoi incubi, è necessario mettere dei limiti. L’ho conosciuto che ero una ragazza spensierat­a, è stato la mia unica grande passione, mi ha regalato una storia piena di allegria, passione e soprattutt­o una figlia bellissima, con una leggerezza e un amore che mai e poi mai avrei potuto immaginare. Ora non posso fare altro che tamponare le grandi fatiche e dare il meglio di me, per condivider­e e alleviare con lui i momenti bui della demenza, e nelle giornate “sì” (come le chiamiamo noi) gustare e godere ancora della presenza del mio Diego, quando mi guarda e mi dice: «Grazie Nadia, oggi ci sono, stiamo insieme».

Nadia Maggi

“È un piacere immenso prendere il ritmo e coordinare i movimenti, abbassarsi, puntare il bastoncino e rialzarsi „ in rotazione Maria Giovanna

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