Corriere della Sera - Io Donna
Non sono solo canzonette: fior di letteratura a Sanremo
curioso, perché il celebre idillio del 1819 propone un’esperienza mentale (la soppressione della percezione del mondo esterno) ma non certo un discorso amoroso, quello invece che nel 1956 Tonina Torrielli (Il cantico del cielo) afferma tassativamente dicendo che «l’infinito è amor». Da questo momento in poi, sempre nella “traduzione” sentimentale, L’infinito popola una folta schiera di canzoni fuori e dentro Sanremo arrivando fino ai giorni nostri. Lo testimonia l’uso ricorrente di parole come infinito, eterno/eternità, immenso/immensità, annegare, naufragare. In due casi (Il cielo in una stanza, 1960, ed Eternità, 1970) si parla evidentemente di un rapporto sessuale, del piacere raggiunto che cancella i muri della stanza, fa scorgere alberi infiniti e un angelo che vola su soffitto. Nelle altre canzoni, per esempio L’immensità di Don Backy (1967), lo smarrimento di fronte al cielo infinito si converte nella speranza che «qualcuno pensi un poco a me». (Fra il 1956 e il 2008 la parola “immensità” compare a Sanremo 19 volte). Arrivando vicino a noi, nel Sanremo 2018, Mario Biondi canta «il sapore dell’eternità» e Caccamo sente «qualcosa di strano, qualcosa d’eterno» in «questo nostro naufragare». Del resto Caccamo ribadisce che «l’amore può salvare».
Da Françoise Sagan alle frasi nonsense