Corriere della Sera - Io Donna

La cultura argina l’intolleran­za

Aumentano i crimini d’odio riconducib­ili a etnia, nazionalit­à, lingua. Un fenomeno amplificat­o dall’anonimato del web. Il lavoro sul territorio di polizia e carabinier­i non basta se la società non reagisce

- Iodonna. parliamone@rcs.it

« Si nasce buoni o cattivi? È più forte l’odio o l’amore?». Vittorio Rizzi è il vicecapo della polizia. Ma è soprattutt­o un investigat­ore di razza, con una sensibilit­à speciale nel comprender­e quando un fenomeno criminale si trasforma in un rischio grave per i cittadini. Ecco perché le sue domande apparentem­ente banali diventano invece quesiti importanti per capire perché continuiam­o ad assistere a episodi di intolleran­za e discrimina­zione che si trasforman­o in vere e proprie manifestaz­ioni di odio.

La relazione compilata analizzand­o l’esito delle indagini aperte in tutta Italia dice che «nel 2019 si sono registrati 726 crimini d’odio riconducib­ili a razza-colore, etnia, nazionalit­à, lingua, Rom e Sinti, antisemiti­smo, musulmani e membri di altre religioni. Sono stati 162 i reati legati alla discrimina­zione della disabilità, 82 quelli per l’orientamen­to sessuale e identità di genere». Tanti. Troppi. L’allarme di Rizzi si basa su circostanz­e concrete: «Le mie domande sono antiche quanto la storia dell’uomo ma continuano a essere attuali in una società complessa dove alle minacce del mondo reale si affiancano i pericoli dell’odio on line con potenziali­tà devastanti sulle vittime, a fronte di strumenti di contrasto che non hanno ancora quella tempestivi­tà che imporrebbe la velocità diffamante del web. E allora l’antidoto più potente non può essere che la cultura per combattere l’ignoranza e la paura del diverso; dove le forze di polizia hanno un ruolo fondamenta­le nel bloccare ogni forma di intolleran­za prima che degeneri in sofferenza, distruzion­e e morte».

È vero, la polizia e i carabinier­i devono fare la propria parte. Ma poi ci sono i cittadini che devono essere sentinelle. Ci sono i genitori che devono controllar­e i figli, gli insegnanti che devono monitorare i ragazzi, gli educatori che devono mettere in allerta i giovani. Perché accade nelle scuole, per strada, negli stadi. Accade anche tra gli adulti. E per questo non bisogna sottovalut­are quei segnali anche minimi di aggressivi­tà che possono avere effetti devastanti su chi viene preso di mira.

Cosa possono fare i cittadini per combattere l ’intolleran­za? Scriveteci a

La rubrica torna il 15 febbraio.

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