Corriere della Sera - Io Donna
“Mamma è una farfalla, così mi sta sempre vicina. Io sono il leone, mia sorella è la formica. Ma non c’è nessun animale cattivo come papà, lui è il diavolo”
facciamo uno spettacolo con i burattini, i bambini inventano storie. Magari c’è chi dice che il papà picchia la mamma e che lei piange».
Nei casi più difficili, se c’è il sospetto di un abuso diretto sul bambino, l’educatrice ne parla con la mamma e insieme a lei fa una segnalazione ai servizi, sociali o al tribunale. Negli altri, quando cioè il bambino “semplicemente” assiste ai maltrattamenti, il lavoro che si fa è sull’autostima e sulla ricucitura delle relazioni.
«Chiariamo una cosa: noi non facciamo una terapia vera e propria. Non possiamo, perché se non c’è sospensione della potestà genitoriale, serve il consenso del papà che, ovvio, non lo dà. Il nostro intervento è “ai fianchi”».
Si sentono trascurati
Un supporto ad ampio raggio, anche perché i comportamenti dei bambini vittime di violenza assistita sono i più disparati: c’è chi si chiude e non dialoga, chi non frena la rabbia, chi è depresso, ansioso, non si fida degli adulti in genere. Molti di loro «spengono l’interruttore delle emozioni, perché sono troppo forti e non possono sopportarle. Si sentono impotenti, come i sopravvissuti ai campi di concentramento che non sono riusciti a salvare chi amavano».
Il rapporto con la madre però non è solo d’affetto e protezione. Qualche volta c’è disagio, ci si sente trascurati. Non si capisce che lei, con la necessità di salvare se stessa e i figli, non riesce a seguirli nella quotidianità. Chiedono aiuto per i compiti? La mamma li allontana, perché deve preparare la cena altrimenti il marito la picchia. Lei non li ascolta, non può, loro non lo capiscono. Alcuni si schierano perfino dalla parte del papà violento, non in modo consapevole ma perché sperano, compiacendolo, di salvare la madre, e la famiglia. Se fanno