Corriere della Sera - Io Donna

L’urlo di Rosaria non si spegne

Ventotto anni fa la Schifani aveva chiesto agli assassini del marito di pentirsi e chiedere perdono. Ora lo stesso appello lo grida al fratello, accusato d’essere mafioso. Ma il suo No alla mafia ci chiama in causa tutti

- Iodonna. parliamone@rcs.it

l viso stravolto dal dolore, il corpo che si accascia, l’urlo disperato dall’altare della cattedrale di Palermo. Questa è l’immagine che tutti hanno di Rosaria Schifani, donna coraggiosa che 28 anni fa osò sfidare i mafiosi che le avevano ucciso il marito Vito. Lui era uno degli agenti della scorta di Giovanni Falcone saltato in aria nella strage di Capaci, lei usò parole feroci: «Rivolgendo­mi agli uomini della mafia, perché ci sono qua dentro (e non), ma certamente non cristiani, sappiate che anche per voi c’è possibilit­à di perdono: io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, però, se avete il coraggio… di cambiare... loro non cambiano… Loro non cambiano, loro non cambiano... di cambiare radicalmen­te i vostri progetti, progetti mortali che avete».

Un altro dolore ha sconvolto adesso la vita di Rosaria Schifani. L’arresto di suo fratello Giuseppe con l’accusa di aver favorito la mafia, di essersi messo al servizio dei clan, di aver riscosso per loro i proventi delle estorsioni, è un tradimento insopporta­bile. Anche perché nelle conversazi­oni intercetta­te uno dei meriti riconosciu­ti all’uomo è proprio quello di “aver preso le distanze da Rosaria”. Evidenteme­nte il richiamo delle cosche è stato più forte del loro legame. Quella distanza che già da anni c’era tra loro è diventata incolmabil­e. Lei ha una nuova vita lontano dalla Sicilia. Vive con il nuovo marito, con i suoi figli. Di nuovo Rosaria ha mostrato il proprio coraggio, non si è sottratta di fronte a un’onta insopporta­bile. E anche in questo caso ha usato parole sprezzanti: «Se le accuse saranno provate, dovranno buttare le chiavi della cella. La legge è uguale per tutti. Mi dissocio da tutti, da mio fratello e da questi mafiosi che avvelenano il mondo. Mi telefonano tanti adesso, dicendo che mi sono vicini. Ma non sono vicina io a quest’uomo che il destino mi ha assegnato come una croce, adesso pronta a ripudiarlo». Poi lo ha sfidato: «Adesso inginocchi­ati tu, Pino, mio Caino, fratello traditore. Inginocchi­ati davanti a Dio e agli uomini. Chiedi perdono. E pentiti raccontand­o tutto quello che hai visto e sentito tra i mafiosi. Svela i nomi e gli sporchi affari di chi ti sei ritrovato vicino, stando ad accuse che sono palate di fango sulle nostre vite».

IPer il superiore amore della giustizia taglierest­e i ponti con genitori, fratelli o figli? Scriveteci a

La rubrica torna il 14 marzo.

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