Corriere della Sera - Io Donna
La discriminazione salariale è uno dei grandi nodi nella lotta per i diritti delle donne. E il dato italiano, nonostante la protezione dei contratti collettivi di lavoro, continua a peggiorare. Ecco perché
In meno
QQuando si tratta di soldi, le donne sono nei guai a tutte le latitudini: ce lo ha ricordato Samira Ahmed. La giornalista della Bbc aveva portato in tribunale il servizio pubblico britannico dopo aver scoperto di aver preso 700mila sterline (circa 830mila euro) meno di un collega, con un incarico analogo al suo in un’altra trasmissione. Il 10 gennaio 2020 i giudici hanno sentenziato che la differenza è spiegabile solo in un quadro di discriminazione. La via è aperta per altre cause. Sì, le donne sono pagate meno degli uomini; si chiama gender pay gap (divario salariale), lo dicono le statistiche, e forse lo avete scoperto anche voi sulla vostra pelle. Per la precisione, in Europa, al momento il 16 per cento in meno in termini di retribuzione oraria media, secondo Eurostat. Per il World Economic Forum, ai ritmi attuali ci vorranno 257 anni perché la disparità retributiva venga colmata. E l’italia, secondo il Global
(il gap è più alto perché tra gli under 25 sono poco applicati i contratti di categoria e ci sono molti contratti atipici) (Cifre Eurostat 2019)
Gender Gap Report 2020, ha perso sei posizioni nella classifica sulla parità salariale nel mondo: dalla 70a alla 76a, per un guadagno annuo di circa 17.900 euro contro i 31.600 degli uomini, e molte più ore lavorate (gratis) se contiamo l’impegno domestico.
Di cifre, però, ce ne sono tante. Per esempio: sempre Eurostat dice che nella retribuzione oraria media, in Italia la differenza uomo/donna è “solo” del 5 per cento. Ma secondo l’eige, l’istituto europeo per l’eguaglianza di genere, che calcola la media del reddito mensile da lavoro, la differenza diventa del 18 per cento. Evidentemente le donne lavorano meno ore retribuite all’interno del mese, oltre a essere pagate meno per ogni ora di lavoro.
Trasparenza e contratti collettivi
Il caso di Samira Ahmed non è comparabile all’italia. «Da noi non ci sono cause per il riconoscimento di adeguamenti retributivi» spiega la giuslavorista Maddalena Boffoli. «È più facile avere una causa da demansionamento, o da mancato riconoscimento del livello superiore». E questo per due motivi: il primo è la trasparenza dei compensi. In Italia, in base alla legge Severino, è obbligatorio pubblicare stipendi e rimborsi spese di tutti i dirigenti della Pubblica Amministrazione; ma la privacy protegge i dipendenti pubblici di fascia più bassa,e quelli privati.«servirebbe un comitato di parità interno ad ogni azienda», dice Boffoli, «e la pubblicazione degli stipendi almeno per fascia contrattuale».
Il secondo motivo sono i contratti collettivi che, almeno in teoria, proteggono tutti. «Stabiliscono la retribuzione minima per mansione», ricorda Boffoli. «L’azienda può darti di più, ma non di meno, e i sindacati contribuiscono a limare le differenze anche con gli accordi di secondo livello. Quindi diventa diabolico provare che le donne vengono pagate di meno per discriminazione. Ma al di là dello stipendio base, i benefici che un lavoratore può avere sono i più vari, in termini di denaro e di tempo: premi, riconoscimenti, festivi, trasferte, e dall’altro lato, per esempio, smart working e permessi».
Un processo a catena
Poniamo il caso di un uomo e una donna che, alla stessa età, entrino nel mondo del lavoro con lo stesso compenso; poi lei fa un figlio, solo lei prende congedi parentali, rinuncia a straordinari e trasferte e magari chiede il part time. Un quarto delle donne smette di lavorare. Alla fine del percorso, la donna ha il 37 per cento di pensione in meno. Lo ha ricordato recentemente in un seminario Linda Laura Sabbadini (direttrice centrale dell’istat per gli studi e la valorizzazione tematica nell’area delle statistiche sociali e demografiche): «Ormai le donne hanno un’istruzione più alta degli uomini, ma si indirizzano ancora su percorsi non premianti e ognuno di quei passaggi agisce sulle retribuzioni. Sono concentrate in settori particolari: la scuola, il tessile, i servizi alla persona, le attività impiegatizie; spesso i settori meno remunerati, ma con orari che favoriscono la conciliazione dei tempi di vita. Ci finiscono anche perché gli stereotipi sono duri a morire, esistono ancora i lavori “femminili” e “maschili”». Per cambiare le cose, dice Sabbadini, bisogna «rompere l’intero processo a catena che si innesta nei percorsi di vita».
Ma c’è un altro fattore: in Italia solo il 53 per cento delle donne è nel mercato del lavoro. La maggior parte delle esclu
Samira Ahmed (51 anni), conduttrice tv della Bbc: poche settimane fa il tribunale inglese le ha dato ragione nella sua causa contro l’emittente per discriminazione salariale.