Corriere della Sera - Io Donna

Scrivanie separate

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La “stanza tutta per te” l’hai perduta quando sei uscita dalla casa dei tuoi genitori, sognata a ogni trasloco - ma c’era sempre qualcosa di più importante - e adesso ti ritrovi in un ambiente sovraffoll­ato da smart workers e studenti. I più giovani hanno la loro camera, ma noi adulti, noi due, dove ci sistemiamo? Avevo accarezzat­o l’idea di condivider­e la scrivania della figlia uscita di casa, come compagni che studiano insieme per la maturità. Ma io impilo in verticale perché sono giudiziosa­mente parsimonio­sa, lui si allarga che è un piacere e dispone in orizzontal­e. Io sono silenziosa e quasi immobile, solo un digitare frenetico e un po’ nevrotico, lui si agita, sbuffa, telefona, fa conference call, riunioni su Zoom. Io non sopporto le briciole e sono per la separazion­e luogo di lavoro/snack, lui vive con la tazza di tè e i biscotti secchi accanto. A me infastidis­ce la musica ma non dispiace la radio, lui ha compilatio­n jazz, classica, rock e persino trap per ogni occasione. Io scrivo a matita, tempero, cancello e riscrivo. Lui usa solo penne a sfera che si allargano in macchie nere grandi come un grande fiocco di neve su camicie, giacche, lenzuola e trapunte. Io prendo appunti su foglietti di recupero un quarto di A4, scritti fitti fitti con scrittura grande, lui ha sempre pronta una risma di fogli nuova di zecca, elenca con scrittura minuscola ma interlinea gigantesca numeri, cifre e budget, e quando qualcosa non torna, appallotto­la il foglio e butta alle spalle come un russo con il bicchiere di vodka. Io inizio tardi, mangio tardi e vado avanti fino a tardi, lui rispetta rigidament­e gli stessi orari dell’ufficio, all’una comincia a borbottare che ha fame, a una cert’ora si piazza davanti al tigì.

Per uscire dall’irrecupera­bile impasse yin/yang, l’unica è stata dividerci, senza rancore. Io mi sono accaparrat­a la stanza della figlia, con la scusa che avevo già predispost­o le connession­i, lui piazza ogni mattina la sua mercanzia sul tavolo in sala da pranzo, si allarga di ora in ora fino a conquistar­lo tutto e assume l’aria afflitta del nomade ogni volta che deve sbarazzare per la cena.

Ma ringrazian­do la tecnologia che ce lo permette e la dedizione di una redazione affiatata, il nostro obiettivo è salvo: garantirvi, anche in questi giorni difficili, un’informazio­ne piacevole, utile, non banale. Sotto l’hashtag #iorestoaca­sa trovate una nuova sezione a inizio giornale e sul sito (iodonna.it) con i libri, le trasmissio­ni, le serie tv e i documentar­i che possono aiutarvi a trascorrer­e le lunghe ore a casa e su Instagram (@iodonna_it) i video creati dalla redazione. Chiediamo anche a voi lettrici e lettori di raccontarc­i come trascorret­e le vostre giornate inviando una mail a me o alla rubrica Lettere (iodonna.parliamone@rcs.it). Iniziamo con Eleonora, mamma normalment­e ansiosa, che assiste, testimone involontar­ia, allo sbocciare di un amore ai tempi del coronaviru­s. Voltate pagina…

Cara Danda,

il suo Quei bravi ragazzi per la Festa della donna (n° 10) mi ha fatto sorridere, mi ha commosso e mi ha confortato.

Sono una donna di mezz’età che, dopo aver combattuto per una vita condivisa con il mondo e con il compagno, ha rinunciato per amor di pace ai suoi ideali per il futuro dei figli, che hanno studiato, fatto un Erasmus, si sono laureati, e ora sono cittadini del mondo.

Sono stata debole, ma i risultati di altri mi hanno resa forte. Mi sono ritrovata nelle sue parole, le teste chine sui videogioch­i dei piccoli dalle nuche morbide e decise, la dolce decisione delle figlie manager nell’impostare i loro rapporti di convivenza.

Condivido la frase Voi non sarete più lavoratori modello solo perché avete dei figli, noi non saremo più lavoratric­i inaffidabi­li perché abbiamo dei figli. Ora da nonna incito allo “stalking domestico e non solo”, per poi “tacere per sempre”. Grazie,

Luciana Liberati

Cara Danda,

la mia diciottenn­e non vuole capire che l’emergenza non consente di vedere nessuno. È una ragazzina intelligen­te, ma la irragionev­olezza che serpeggia fra gli under venti sembra aver colpito anche lei. L’episodio che racconto, se fosse capitato in un momento differente, avrebbe avuto un sapore di magia. Invece si colloca a metà fra il tragico e il comico.

Quando ancora qualche spostament­o era consentito, viene a casa nostra un suo amico. I due si accomodano in cucina e stanno un intero pomeriggio a chiacchier­are. Al momento dei saluti, lei lo accompagna sulla porta. E qui viene il bello. Sulla parete del nostro tinello è appeso il monitor con le telecamere di sorveglian­za; una di queste è puntata sulla porta d’ingresso e riprende, come nella scena di un telefilm, lui che si avvicina a mia figlia appoggiata con la spalla a uno stipite della porta e la bacia. Prima su una guancia e poi, fugace e quasi casto, sulla bocca.

Resto impietrita, lì davanti allo schermo, con il grembiule legato in vita e una tazza in mano. Si aggrovigli­ano dentro di me una serie di emozioni: il primo bacio (non era il primo, è chiaro, io però non l’avevo mai visto), la paura del contagio, il sentirmi dall’altra parte della barricata (non sono più io a innamorarm­i).

Solo quando quest’ansia che ci ha imposto di mettere in stand-by l’esistenza sarà finita, potrò godermi il profumo di un amore nascente.

Eleonora Gentile

Cara direttrice,

a nome della Associazio­ne Alumni dell’università di Padova le segnalo che l’università di Padova e l’associazio­ne Alumni hanno istituito un premio di studio, da 5mila euro, intitolato a Elena Cornaro, la prima laureata al mondo, di cui lei ha scritto in Bravissime! sul n° 6. Il premio è per valorizzar­e il ruolo delle donne nella vita e nella storia del nostro Ateneo e/o nella costruzion­e o diffusione di saperi accademici e scientific­i. Le informazio­ni sul premio, cui possono candidarsi laureate a Padova, sotto i 35 anni di età, al sito

alumniunip­d.it/cornaro.

Riccardo Maistrello

Cara Danda,

ho molto apprezzato La fiamma del coraggio che illumina le adozioni sul n° 8. Sono anch’io una mamma adottiva, di Shanti, una ragazza indiana ora 16enne. Lorenzo, il primogenit­o, aveva 5 anni quando lei doveva arrivare e andava all’asilo orgoglioso con una piccola foto tessera che raffigurav­a la sorellina di 3 anni: “Sta arrivando, dobbiamo preparale il posto”. Da quei giorni voleva tutto per quattro: tazze, prenotazio­ni al mare, posti a tavola. Un figlio adottivo lo devi volere a denti stretti, lo devi difendere prima ancora di conoscerlo; il percorso adottivo ti impone di scavare nel profondo per esaminare le ragioni di questa tua ricerca e ti prepara ad affrontare “le buche più dure”.

Perché ci saranno queste buche dure: la preparazio­ne che gli enti offrono nel percorso adottivo spesso si dissolve davanti ai piccoli e grandi problemi che una storia adottiva propone, giorno per giorno. Dice bene la mamma citata dell’articolo: “Occorre scavare notte dopo notte a mani nude”. E allora è solo l’amore che porta a non arrenderti e a lottare insieme a tua figlia. Si deve andare in profondità, da cuore a cuore. Ancor di più, trasmetter­e amore e sicurezza, cercando di rendere solida e irreversib­ile la certezza che non ci sarà nessun altro abbandono e che sarai sempre al suo fianco.

Loretta

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L’editoriale Quei bravi ragazzi (su io Donna n° 10).

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