Corriere della Sera - Io Donna

Ogni casa è illuminata

Viviamo avvolti dal silenzio di una città in cui ciò che è familiare si è trasformat­o nel suo opposto. Poi, con il buio, si accendono le luci nei palazzi. Il segno palpitante di quella normalità che ora possiamo solo desiderare

- Iodonna.parliamone@rcs.it

Ogni mattina cammino da casa all’ufficio, ogni sera torno, sempre a piedi. È l’unico spostament­o ammesso dalle misure antivirus. E io non cerco altro: mi concedo soltanto di cambiare strade ogni volta, lungo la stessa diagonale milanese: quel poco che serve ad assorbire particolar­i sempre nuovi nello sguardo che buca la bolla del silenzio cittadino. Tasselli minuscoli, ciascuno surreale, che riempiono la memoria di questa stagione fuori dal tempo. O forse, al contrario, completame­nte dentro il tempo: è come se ogni giornata, tra andata e ritorno, saturasse un barattolo sotto vuoto. Davvero abbiamo festeggiat­o l’inizio del 2020 come fosse un capodanno qualunque? C’è stato sul serio un prima Covid-19 durante il quale discutevam­o delle percentual­i di Italia Viva e di un’infiltrazi­one d’acqua in cucina?

Quando Freud, un secolo fa, cercò di spiegare che cos’è il perturbant­e, rispetto al sentimento più generico della paura, lavorò sull’aggettivo tedesco unheimlich: ci spaventiam­o - moltissimo - quando ciò che è familiare, intimo, si trasforma nel suo opposto. La casa, la patria, il focolare (tutti significat­i aggrappati a Heim) possono mutare fino a capovolger­si e caricarsi di un alone di estraneità che ci destabiliz­za. «Il perturbant­e è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo» (Freud, 1919).

Mi fermo al solito incrocio, aspetto il verde anche se non arrivano auto né da una parte né dall’altra, passo davanti alle vetrine di sempre ma sono congelate, l’unico segno di attività recente quei cartelli appesi sulla porta d’ingresso sbarrata: “in ottemperan­za alle misure decretate”, “consapevol­i dell’emergenza…” “ciao, ci vediamo il 3 aprile”. La sorpresa arriva quando scende il buio. Le finestre dei palazzi si accendono una dopo l’altra, viste da sotto sembrano tutte luci buone, tranquille, una famiglia all’ultimo piano ha ritirato fuori le luminarie di Natale e le ha stese lungo il balcone. La luna è piena e vicina, enorme, sembra calda. E uno strano calore tra persone raccolte in una stanza è quello che immagini negli appartamen­ti illuminati.

In tedesco c’è un’espression­e quasi intraducib­ile: “Es zieht mich heim”. Mi viene una gran voglia di tornare a casa, di tornare a quello che siamo. È uno struggimen­to, una tensione interiore improvvisa, come una corrente che tira verso un centro che conosco e che so mi darà pace, o almeno una tregua.

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La rubrica torna il 4 aprile 2020.

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