Corriere della Sera - Io Donna
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Ha dedicato un racconto alla triste storia di Andrea Oliviero. Perché questa scelta?
Andrea era una trans colombiana che viveva a Termini e prima di morire aveva detto che la stazione era casa sua, ma ne aveva anche paura. Era stata picchiata, malmenata, derubata, era già finita in coma, eppure conservava una fiduciosa svagatezza. I suoi funerali si sono celebrati cinque mesi dopo perché nessuno voleva pagarli: questo dettaglio mi era intollerabile, non riuscivo a togliermelo dalla testa. Sono andata in chiesa, eravamo quattro gatti. Sono tornata a casa e continuavo a stare male. Ho acceso il computer e ho scritto Via della Devozione. Interessante in il connubio tra imparare una lingua nuova e sperare di incontrare persone felici.
Ho sempre pensato che le cose cambiano a seconda del nome che le contiene, e che parlare una lingua che non si domina toglie molte maschere, perché non si possiedono i registri dell’inganno: l’ironia, la dissimulazione, i giri di parole. Quando mi sono iscritta al corso di ebraico, singolare caso di lingua morta e poi resuscitata, non mi interessava tanto la lingua biblica, quanto il fatto che le parole di quell’altra epoca erano inadatte. È una lingua legata al sacro, ma facendola risorgere bisognava inventare un modo per dire “televisore” o “bevanda gassata”. Studiare l’ebraico è un complesso viaggio nel tempo. Le sue protagoniste hanno perso treni importanti, ma la sensazione è che se ripassassero li perderebbero di nuovo. Esiste un unico destino?
«Devi rompere una volta il destino. Devi uscire di strada, e affondare nel tempo», ha scritto Cesare Pavese. È vero, le mie protagoniste sono sulla soglia, ferme tra una casa calda ma non più accogliente e una strada nuova, piena di neve. Si va? Si resta? Si cercano errori nuovi? Generalmente la calma è la virtù dei forti, nel suo libro è quella dei “non innamorati”.
Come tutte le persone razionali, quando mi innamoro mi innamoro come una scema. Di tutto: persone, oggetti, situazioni, libri, è bellissimo quell’impazzimento donchisciottesco che ti fa sentire viva. Però dentro quell’impazzimento finisce per mancarti qualcosa, è un attimo che diventa inconcludenza, e a me piace anche creare puntigliosamente, dedicarmi con calma alle cose. Le drammatiche protagoniste di questi racconti sono assetate di felicità altrui. Quasi in modo vampiresco.
Per alcune cannibalizzarla è un modo disperato per non soccombere all’invidia, per altre è una spia rossa che accende una luce sulla propria infelicità. Di certo, la felicità degli altri dentro di loro fa molto rumore. Romana Petri
Come una storia d’amore Perrone Editore pagg. 144, euro 15
Il primo giorno di scuola