Corriere della Sera - Io Donna
Come cambia
“Così i vegetali reagiscono allo stress: chimicamente” “Solo piante autoctone nei parchi urbani: vivono meglio” “Il nostro verde storico merita più attenzione e risorse”
CC’era una volta il giardinaggio tradizionale. Quello che riguardava solo giardinieri, agronomi e paesaggisti. Questo mondo è un ricordo datato. Oggi anche il verde è coinvolto nelle sfide planetarie. Il cambiamento climatico si porta dietro siccità, bombe d’acqua, perdita di biodiversità e impatta anche alle nostre latitudini. Orticola di Lombardia, che quest’anno festeggia i suoi 25 anni di attività, non poteva non tenerne conto. Quindi, nelle tradizionali Giornate di studio, che si sono tenute a Milano il 14 e 15 febbraio scorsi, i nuovi scenari e lo stato della ricerca sono stati al centro del dibattito. In chiave positiva, naturalmente: dal mondo vegetale abbiamo tanto da imparare. «Sempre più giovani sono interessati alla natura e alle piante», commenta Filippo Pizzoni, vice presidente di Orticola di Lombardia «Nel contempo le tecniche, l’immaginario, le modalità sono rimaste ancorate al passato. Oggi non ha più senso parlare di botanica in generale. Ci sono sempre più figure coinvolte – dal microbiologo al neurobiologo e all’esperto di foreste, per citarne alcune – e insieme ci offrono una visione più ampia. Per avere progetti innovativi, dobbiamo farli lavorare insieme». La domanda di verde urbano è in crescita e anche l’impegno dei cittadini: a Milano, dal 2015 ci sono 13 giardini condivisi. Un esempio virtuoso. «Le sfide sono tante», aggiunge. «Ma l’opinione pubblica ha una visione spesso ferma e l’attenzione degli amministratori non è sufficiente». Abbiamo selezionato quattro voci diverse dalle Giornate di Orticola per esplorare il cambiamento che è già realtà.
Roberto Bruni
di Milano, Pavia e Varese è arrivato un coleottero, la Popilia japonica, che divora le foglie dei rovi, ma anche del mais e delle piante da frutto. Contro di lui sono state usate trappole con ormoni che lo attraggono: ciascuna di esse può catturare fino a 26 mila insetti. Un’altra piaga è il punteruolo rosso che distrugge le palme. Si combatte con i nematodi, “vermi” golosi delle larve di questo coleottero. Anche contro gli attacchi fungini, si utilizzano altri funghi antagonisti che mangiano i nemici della pianta, o ne prevengono l’attacco. È la strategia che si applica anche contro l’armillaria, fungo diffuso nel verde pubblico e storico, che viene combattuta con il Trichoderma».
Andrea Bassino «Valorizzare le piante autoctone almeno in una zona di un parco pubblico o di un giardino privato ha notevoli vantaggi: sono già abituate al nostro clima, in genere hanno bisogno di meno irrigazione e manutenzione, e sono anche meno sensibili agli attacchi parassitari. Oggi gli habitat naturali sono sempre più frammentati e il consumo di suolo è un problema rilevante. Se usiamo questi spazi scampati alla cementificazione con consapevolezza, possiamo creare una rete in cui le spontanee che collochiamo danno respiro a quelle che sopravvivono in natura. È anche una questione di recupero della nostra tradizione culturale. Queste varietà vegetali locali erano già usate nei giardini antichi, si tratta di riscoprire la loro bellezza. Possiamo iniziare da un angolino del nostro giardino, scegliendo con cura le piante. In natura, ogni habitat ha le sue piante, e a questo bisogna fare riferimento. Al Giardino Perego, in via dei Giardini a Milano, sto lavorando a un progetto di aiuola con piante autoctone del sottobosco. Come la Salvia glutinosa dai fiori gialli, una graminacea locale dal bel portamento; il Brachipodium sylvaticum; la Lunaria rediviva con fiori bianco rosati; il Polygonatum multiflorum o sigillo di Salomone e l’anemone nemorosa, tipico dei boschi. Per ora stiamo collocando piante provvisorie, in grado di migliorare il suolo. L’appuntamento per la “versione definitiva” è per la primavera del 2021».
Alberta Campitelli «Il nostro verde storico è in sofferenza. C’è scarsa coscienza politica della sua importanza: ricevono più attenzione forme d’arte che hanno maggiore riscontro mediatico. Si stanziano meno fondi per questo bene culturale complesso, che ha valenze anche ambientali, di decoro e di salute. C’è poi scarsa consapevolezza della professionalità di chi dovrebbe lavorare nel verde. Nessuno si sognerebbe di far restaurare uno stucco antico da un carpentiere, ma nei giardini storici spesso intervengono giardinieri non preparati. Manca inoltre un censimento, un database nazionale di questo patrimonio come c’è in Francia, Belgio, Spagna. Eppure, il nostro Paese è ricco di tesori, alcuni sconosciuti ai più. Un esempio? Il delizioso teatro di verzura della Villa d’ayala, in provincia di Salerno. Investire più risorse vuol dire più tutela per questi gioielli naturali e più opportunità di lavoro per nuove figure specializzate. Il primo istituto a rilasciare il diploma di giardiniere d’arte è stato quello della Venaria Reale, diretto da Paolo Pejrone. Quest’anno usciranno anche i primi diplomati dalla Fondazione Its Bact a Capodimonte e alla Reggia di Caserta, su committenza della Regione Campania. I giardinieri d’arte studiano la storia dei giardini, la teoria del restauro e come questa sia variata nel tempo, nonché gli esempi positivi di recupero e gestione, che hanno coinvolto pubblico e privato».
Alberta Campitelli: «Urge un archivio dei giardini storici».