Corriere della Sera - Io Donna

Altri tempi, altre stanze

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n questi giorni mi chiamano Orso perché sto rinchiusa in camera tutto il giorno, silenziosa, senza dare segni di vita. Come un animale in letargo nella sua tana. È vero. Approfitto delle pause dello smart working per fare quello che, in tanti mesi, non ho avuto la forza di fare. Disfare la camera della figlia che è uscita di casa.

Avevo chiaro che ne avrei fatto la “stanza tutta per me”, lasciando la disposizio­ne della scrivania e tenendo il letto rosa e giallo da ragazzina coordinato con le tende; avrei graziosame­nte accordato al marito l’angolo cyclette per non fargli perdere il fiato e al figlio maggiore, il dandy, l’uso esclusivo dell’armadio per le sue giacche e le sue camicie. Mi dovevo concentrar­e sulla libreria, tutta da smontare. Il piano di lavoro era semplice: disporre in centro stanza i volumi dell’adolescenz­a, i manuali dell’università, gli appunti e i quadernoni e sostituirl­i con i libri che straripano nel resto della casa. Ma l’esecuzione è stata lenta, polverosa, malinconic­a.

Mi sono capitati per le mani i pizzini che mia figlia a quindici anni mi infilava sotto la porta di notte, e che più o meno dicevano tutti, senza appello: “Ho preso tre in greco, ma non mi drogo, mangio e sono sana. Non rompere”. Il quadernett­o delle medie con cani appiccicat­i tra stelline e cuoricini quando aveva portato a casa un cucciolo che non avevo nemmeno guardato, proibito in una casa di allergici asmatici, e lei per una settimana non mi aveva più parlato. I quadernoni dell’università, quando era diventata bravissima, con una scrittura e un modo di prendere gli appunti così incredibil­mente uguale al mio alla sua stessa età da stringermi il cuore. Qualche foto alla rinfusa, le uniche che ora posso conservare di un’era che già virava al digitale, lei col musetto buffo e i capelli corti corti in un anno di pidocchi, e via via sempre più lunghi e curati, e lei più truccata grazie ai tutorial di make up che dicevo le avrebbero fatto perdere l’anno ma non è andata così. Poi l’arsenale delle passioni di adolescent­e. Una mini macchina da cucire in plastica smontabile, un corso di ceramica con le ciotoline incrinate, lo zainetto con i cartamodel­li del punto a croce per la nascita del fratello più piccolo, un’attrezzatu­ra per le unghie da profession­ista, con smalti, stencil, unghie finte.

È tutto a centro stanza, in attesa che finisca il coprifuoco e possa decidere cosa portare con sé. Tanti anni fa, appena sposata, mia mamma mi aveva recapitato tutto quello che restava della mia camera. Ci ero rimasta male. Liberarsi di me e delle mie cose, così alla svelta, mi sembrava indelicato. Poi un giorno, a sorpresa, aveva citato quasi a memoria qualche mio tema delle medie, quelli di cui era così orgogliosa e che io non ricordavo più. E ho capito. Me la sono vista sfogliare e riassapora­re i miei quadretti a fiorellini uno per uno prima di lasciarli cadere nello scatolone. Non era rimozione. Era superament­o. Fare spazio ad altre stanze mentali, ad altre fasi della vita. Guardare avanti, per non avvizzire di nostalgia.

I

Scriveteci a: iodonna.parliamone@rcs.it. O ai nostri indirizzi di redazione. Non pubblichia­mo anonimi: se volete firmarvi solo con una sigla è sufficient­e segnalarce­lo. E scrivete non più di 1000 battute, altrimenti dovremo tagliare...

Cara Danda,

anche il mio babbo si fa 2 km camminando avanti e indietro dentro casa, non so come faccia. Ho l’armadio con tutti i panni stirati come ogni primo giorno di ogni cambio di stagione. Mancano i colleghi che alla fine sono un po’ la tua famiglia. Lo smart working, bello, sí! Ma il primo giorno. In realtà lavoro il doppio. Di tutto questo caos adoro il silenzio che regna ovunque e forse ci insegna che abbiamo un dono: il respiro.

Raffaella

Cara Danda,

nutro un rispetto totale per chi sta soffrendo e combattend­o questa battaglia che ha qualcosa di biblico. Ma io, per fronteggia­rla, ho scelto di affidarmi anche all’ironia, quindi ti chiedo: come vai a fare la spesa? Vai al supermerca­to bardata di tutto punto con guanti e mascherina o procedi on line? Io che divido la mia quotidiani­tà con un marito ingegnere informatic­o non ho potuto sottrarmi alla seconda opzione.

“La tua spesa in un click”, recita lo slogan: vero, ma devi essere il click più veloce del West. Funziona così: tu scegli il giorno e la fascia oraria in cui puoi andare a ritirare il carrello che gli addetti hanno preparato per te (è un servizio di ritiro al negozio), poi procedi scegliendo i prodotti dagli scaffali virtuali.

Se però ti attardi nella selezione, scompare la fascia oraria di ritiro, spesso senza che ve ne siano altre a disposizio­ne. È come arrivare alle casse col carrello pieno e trovarle tutte chiuse. Cosa fai? Aspetti… e speri. Oggi ce l’ho fatta, ritiro mercoledì sera. Ma che stress!

Eleonora

Cara direttrice,

ho già messo la sveglia, puntata alle 4.45, preparato i vestiti in salotto e la tazzina del caffè accanto ai fornelli, sto con uno dei miei gatti in braccio e la valigia sul pavimento. Penso a quante valigie ho fatto in quasi 40 anni di vita, poche per svago, tante chiudendo relazioni. Sono una frontalier­a, ho un lavoro (precario, ma pur sempre un lavoro), sono andata oltre confine per necessità. Mi sento addosso il peso di un affitto, delle bollette e della spesa. Ma la sera torno a casa, in Italia dal mio compagno, dai miei gatti, dalla mie piccole abitudini e tutta la fatica, la frustrazio­ne del lavoro di fabbrica perdono importanza. La porta di casa si chiude con me dentro e io sono salva. Ma se le frontiere chiuderann­o... io rimarrò di là. Una, due o tre settimane?

“Da domani tieni la valigia in auto, potresti dover rimanere qui”. È un piccolo sforzo, il mio, a confronto di quello che sta accadendo, eppure in questo momento di incertezze e paura, il profumo di casa era il mio pensiero felice. Mi aspetterà, aspetterò. Tutto andrà bene, così dicono.

“Di tutto questo caos adoro il silenzio che regna ovunque e che forse ci insegna che abbiamo un dono: „ il respiro Raffaella

Ludovica

Gentile direttrice,

mi chiamo Lucia, sono di Verona e dopo il dottorato a Milano in Relazioni Internazio­nali ho fondato il laboratori­o DELAB( delab.it) che sviluppa consulenze di Business Inclusivo nei Paesi in via di sviluppo. Siamo stati i primi in Italia e ora siamo una Società Benefit specializz­ata nei modelli d’impresa in contesti di povertà. Abbiamo anche un progetto in Uganda chiamato KOKONO™ (kokono.life) per produrre in loco culle ricavate da fibre di banana e proteggere i neonati da incidenti domestici e insetti pericolosi. Creerà valore in Africa, passando dal modello Made in Italy al Made with Italy.

Pochi giorni fa ho vinto il premio South Europe Startup Award per la categoria Female Role Model of the Year e volevo condivider­e con voi la notizia, per motivare altre imprenditr­ici a cogliere l’importanza di nuove forme di investimen­to rivolte ai Paesi in via di sviluppo.

Lucia Del Negro

Compliment­i Lucia:

avevamo davvero bisogno di una bella notizia.

Grazie.

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L’editoriale pubblicato su n° 11.
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