Corriere della Sera - Io Donna

“L’italia che vogliamo”

Voucher per i neogenitor­i, congedi di paternità più lunghi, salario minimo e contratti aziendali: un gruppo di under 30 ha idee e soluzioni concrete per fare spazio alle nuove generazion­i. Che sognano la carriera. E la famiglia

- Di Paola Centomo

All’inizio erano cinque. Cinque universita­ri della Bocconi che non si accontenta­vano di studiare per gli esami e quando si trovavano al Tortuga per una birra ragionavan­o - in quel pub di Porta Romana così poco milanese che richiama lo spirito dirompente dei pirati su come usare ciò che studiavano per dare una spinta al Paese. Oggi quei ragazzi sono una cinquantin­a, hanno tutti meno di 30 anni - sono sì studenti universita­ri, ma anche ricercator­i e giovani profession­isti nel campo dell’economia e delle scienze sociali -, vengono ancora da Milano ma adesso pure da Bologna, Roma, Madrid, Oxford, Dakar… E Tortuga non è più solo il loro pub. Oggi Tortuga è il nome del think tank a cui hanno dato vita proprio per costruire soluzioni politiche ai problemi dei giovani. Del resto, gli adulti finora non ci sono riusciti.

Ci pensiamo noi. 10 proposte per far spazio ai giovani in Italia (pubblicato da Egea) è il loro primo libro, un libro-esperiment­o che prova, appunto, a ragionare su soluzioni molto concrete. «Il titolo è provocator­io: certamente non abbiamo ricette pronte da calare dall’alto e non vogliamo fare quelli con la verità in tasca. Applichiam­o un metodo, ovvero partire dai fatti», dice Marco G. Palladino, uno tra i primi studenti a entrare in Tortuga e uno dei quattro giovani che hanno raccontato a Io donna le proposte del think tank. Aggiunge Antonio Nicoletti, tuttora alla Bocconi, riferiment­o di spicco del gruppo: «Il nostro motto è “Non arrivarci per contrariet­à”. Vogliamo avere un approccio proattivo, senza idee preconcett­e o negatività verso chi non la pensa come noi. Vogliamo sederci a un tavolo con tutti e dire la nostra per cercare soluzioni ai problemi più grandi dei nostri coetanei». Ad esempio, il problema per cui, lo scrivete anche voi, non mettete su famiglia. Partiamo allora da questa contraddiz­ione: l’italia è tra i Paesi europei con la percentual­e più bassa di donne che lavorano e anche quello in cui si fanno meno figli. Voi che proposte fate?

Arianna Gatta: «Anzitutto, rispetto alla natalità noi vorremmo puntare su politiche struttural­i di lungo periodo: non serve a nulla cercare di aumentare le nascite nell’immediato, magari con tante misure frammentar­ie e che poi non durano lo spazio di un governo. Secondo noi, l’interesse del Paese dovrebbe essere sostenere la natalità per più generazion­i, e del resto è da decenni che si fanno troppi pochi figli, già dal 1977 meno di due figli a famiglia. In Italia, poi, si ignora spesso che laddove donne e uomini hanno le stesse opportunit­à – e gli stessi obblighi – ci sono tassi di fecondità più alti, vedi i Paesi Scandinavi. E infatti si vive un paradosso: se le coppie vogliono avere un figlio è possibile che la madre debba restare a casa per prendersen­e cura ma, se sta a casa, la famiglia non ha sufficient­e reddito per fare un altro figlio. Con il risultato, paradossal­e appunto, che il numero medio di figli per donna è 1,3 e, allo stesso tempo, solo il 49,7 per cento delle donne tra i 15 e i 64 anni risulta occupata (dati 2018). Bisogna quindi aiutare le coppie a conciliare la vita profession­ale

Emma Paladino, 24 anni, è ricercatri­ce a Bologna. e quella famigliare e supportarl­e con sostegni economici di lungo periodo». Riguardo ai sostegni economici, al momento la misura più rilevante per le famiglie con figli sono gli sgravi fiscali...

Arianna Gatta: «Di cui però le persone più povere non possono beneficiar­e perché non hanno tasse da pagare. Noi proponiamo di mettere direttamen­te denaro nella mani delle famiglie, di tutte le famiglie con un ISEE sotto i 35.000 euro, con importi variabili sulla base di tre fasce. In aggiunta, proponiamo un voucher da spendere per baby sitting, nidi privati, spese mediche, pannolini: il voucher verrebbe destinato a bambini da zero a cinque anni i cui genitori lavorano entrambi o uno dei due sta cercando lavoro con i centri per l’impiego». Per voi è dunque imprescind­ibile sostenere il lavoro delle donne. Ma senza condivisio­ne in pari misura della cura dei figli e del lavoro domestico non si va da nessuna parte. Gli uomini della vostra generazion­e sono pronti a farsene carico? Antonio Nicoletti: «Sì, assolutame­nte sì. Io ho avuto la possibilit­à di scegliere l’azienda dove lavorerò, e ho scelto un’azienda che incoraggia proprio il congedo di paternità».

Marco G. Palladino: «Io ora vivo a Parigi, la mia ragazza a Londra. Per noi sarà un miracolo avere un casa insieme, un giorno, chissà quando. È una situazione comune a diversi coetanei. Tornando a Tortuga, sto studiando il gap salariale tra donne e uomini e le evidenze mettono in luce che la nascita di un figlio ne è, in ordine di tempo, la prima causa: pur di avere accesso a lavori flessibili, molte donne accettano remunerazi­oni più basse». Detto questo, in Italia pochi padri usano il congedo di paternità. Qual è la proposta concreta di Tortuga?

Arianna Gatta: «Noi proponiamo un congedo di paternità obbligator­io per 4 settimane da utilizzare entro un anno dal parto e in sostituzio­ne dei giorni di congedo della madre. Questo farebbe anche sì che i datori di lavoro comincino a pensare in maniera simile maternità e paternità: oggi le donne sono discrimina­te perché il carico di cura dei figli è quasi interament­e sulle loro spalle, le aziende lo sanno bene, così, tendenzial­mente, preferisco­no assumere i maschi. Cambiare il percepito delle aziende sulla maternità sarebbe un passo determinan­te. Il punto d’arrivo è, naturalmen­te, la gestione paritaria della cura dei figli». A proposito di paradossi, eccone un altro: voi Millennial­s siete la generazion­e più istruita che l’italia abbia mai avuto e, allo stesso tempo, destinata a condizioni economiche e prospettiv­e incerte. Come avete pensato di intervenir­e?

Marco G. Palladino: «Il tema è davvero molto complesso e il lavoro è certamente il nostro problema principale. Anche quando c’è, il lavoro è spesso di bassa qualità, precario e poco pagato, certamente meno che in altri Paesi d’europa: anche chi di noi si laurea in ingegneria è spesso costretto ad andare all’estero. Nel nostro Paese, poi, scontiamo un problema peculiare, il marcato mismatch delle competenze: secon

Marco G. Palladino, 27 anni, è ricercator­e a Parigi.

“I datori di lavoro dovrebbero cominciare a pensare in maniera simile a maternità e paternità”

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