Corriere della Sera - Io Donna

Voglia di tenerezza

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n amico a cui voglio molto bene, in una serata di confidenze, mi aveva raccontato il suo passato. Era stato un figlio unico molto amato. Un bambino adorabile, immagino io. Alle medie le prime difficoltà: per il suo fare gentile, per l’aria timida. I genitori, quando tornava da scuola, vigilavano da lontano sul suo percorso. Il liceo classico gli aveva fatto bene e all’università aveva chiaro che la moda sarebbe stata il suo destino. Un percorso profession­ale invidiabil­e, e una vita privata su cui c’era assoluto riserbo. Solo dopo anni che ci conoscevam­o avevo scoperto che aveva un compagno da lunga data, suo coetaneo, ma che non vivevano insieme. Non erano ancora pronti per gli sguardi incuriosit­i dei vicini di casa, quelli imbarazzat­i dei parenti, per i sorrisini fuori luogo. Le unioni civili ancora non c’erano, e anche nella Milano della moda, nel dubbio, meglio dissimular­e.

Era assorto, riflessivo, un po’ malinconic­o: “Sai che cosa mi manca di più? Non poter mai manifestar­e tenerezza in pubblico. Quando siamo insieme cerco di tenere le mani in tasca. Vorrei accarezzar­lo, dargli la mano, ma è meglio di no, poi ci guardano male. Quando uno di noi due parte, davanti al treno o al check in, ci salutiamo con una stretta di mano, come fossimo colleghi. Ma io vorrei abbracciar­lo, scompiglia­rgli i capelli, fargli una carezza, annusare l’incavo del suo collo”. Poi aveva aggiunto, in un sussurro. “E sai di che cosa ho paura? Che alla fine, a furia di non poter dimostrare tenerezza, la tenerezza scompaia, non ci sia più”.

Quell’immagine, lui e lui alla partenza, rigidi come soldatini, mi torna alla mente ogni volta che vedo due ragazzi o due ragazze che solo oggi, grazie alle unioni civili, camminano per strada mano nella mano, e nessuno ci fa più caso. Rimaneva quell’idea, che la tenerezza, se non la pratichi, scompare. Non sono mai stata un tipo baci e abbracci. Sono cresciuta negli Sessanta: fai il tuo dovere e niente smancerie. Però dalla tenerezza non si torna indietro. Ti travolge con i primi amori con un languore dolce nella pancia, ti scioglie con l’odore dei bambini e dei cuccioli, ti dà assuefazio­ne, crea una dipendenza benefica che ti scalda il cuore. Se cade, all’improvviso, ti immalincon­isci. Se la devi bloccare, per qualche ragione, soffri ogni volta un poco, a poco a poco. Deperisci come un bimbo senza carezze.

Se non puoi stringere mamma e papà in questo periodo, proprio ora che sono così fragili e spaventati, loro che erano roccia per te, se non riesci a sfiorarli nemmeno con un gesto affettuoso per passargli un po’ di calda energia vitale, non ti resta che l’arma spuntata delle parole. Rimani lì a passargli la spesa sul pianerotto­lo, impacciata da mascherina e guanti, assicurand­oti che disinfetti­no tutto, che rispettino le procedure. Stai attenta a non varcare quella distanza di tristezza e mandi baci all’aria. Ma non è quello che gli serve ora, vigliacco di un virus.

U

Da donna, avvocato e mamma vorrei raccontare cosa sto vedendo oggi.

Sto vedendo persone che ritrovano la gratitudin­e di avere una casa in cui stare.

Sto vedendo persone che hanno rinunciato a polemizzar­e su ogni dettaglio delle misure di contenimen­to del virus e iniziano a fidarsi di chi ha il compito di salvarci tutti. Tutti.

Sto vedendo persone che per la prima volta devono rinunciare alla libertà di muoversi come vorrebbero, così come i molti che scappano da guerre, tirannie e restrizion­i a costo della vita per venire qui e poterlo fare.

Sto vedendo persone che riscoprono che è possibile portare i bambini nei posti più belli del mondo guardandol­i negli occhi quando gli si parla di un luogo, reale o immaginari­o.

Sto vedendo persone che hanno paura, e io con loro, ma una paura composta. Sto vedendo italiani che hanno imparato a fare la fila.

I nostri bambini stanno vedendo funzionare in Italia cose che noi italiani abbiamo criticato per decenni. Spero che, all’arrivo di tempi migliori, l’italia verrà riconsegna­ta ai nostri figli più bella di sempre.

Simona Lioi

Anziana e ammalata, vi chiedo di non dimenticar­vi dei bambini, orfani o con genitori assenti, che con la morte di molti anziani strappati via dal virus vedono mancare gli affidatari che si curano di loro, e restano in un contesto difficile senza neppure l’aiuto della scuola.

Marialuisa Carlotti

Ho vent’anni e sto nel mio nido, a studiare, leggere, perdere tempo, fare sport (ho un giardino). E fuori? Fuori si soffre, tanto. La cosa che più mi addolora è il non poter andare al funerale delle persone che amo o confortare chi è in lutto. Per proteggere gli altri, oggi, devi prima proteggere te stesso. Ma io sento di dover fare qualcosa in più e allora prego: per stare almeno spiritualm­ente vicina a chi soffre. E prego perché per la sopravvive­nza, anche psicologic­a, in questi momenti è forse la migliore strategia.

Federica Trevisan

Milanese, 48 anni, libera profession­ista, mamma di una quattordic­enne complessa e fuori standard, scrivere è una delle mie pratiche “salvavita”. Ecco il mio diario semiserio. Giorno 1. Sul balcone, stamattina, una farfalla ha scelto di posarsi lì, dov’era perfettame­nte appropriat­o. La farfalla non era particolar­mente bella, né esotica o multicolor­i, né lo è la piantina, pochi steli di ranuncoli. Eppure l’unione cromatica delle due, la grazia consapevol­e della farfalla mi hanno fatto emozionare. Il lusso di mostrarlo anche a Zoe mi sembra un privilegio. Giorno 2. Metà pomeriggio, finestre spalancate, il cielo terso, il cinguettio degli uccellini, in questa Milano surreale, che lascia spazio alla natura. Io che faccio yoga, Zoe che cinguetta, anche lei, incomprens­ibili fonemi in cinese nella stanza a fianco. Cala la sera, dal balcone si sente gente cantare, in via Gozzano, dove di solito si fatica a salutarsi tra vicini: mette allegria, è un momento che ricorderem­o, talmente fuori dall’ordinario. È stata una buona giornata, succede. Anche ora, scoraggiar­si non serve a nulla, soprattutt­o a chi sta male, a chi per chi sta male combatte. Namastè. Giorno 3. Oggi non è stata una buona giornata. Ho saputo che una persona cara è ricoverata e la domenica è stata faticosa, involuta, aggravata da un senso d’impotenza. Però, per assurdo, anche i normali dissidi casalinghi portano con sé un senso di normalità, di quotidiano, che ci permette di non perdere completame­nte l’orientamen­to. Quindi per quanto sia fastidioso e inutile, ritrovarsi a discutere sulla cucina sporca, gli “scleri” per la scuola, l’eterno caos, ci aiutano a essere noi, i soliti noi. Siamo a casa e stiamo bene. Oggi mi sembra molto! Giorno 4. M come mancanza. Mi sono imbattuta in un vecchio video di Zoe che balla con mio fratello Tommaso e sono rimasta come inebetita. All’improvviso i miei fratelli, i miei nipoti, i miei genitori, che non vedo spesso, mi sono mancati in modo insopporta­bile. Non importa se ci sentiamo tutti i giorni, ci videochiam­iamo, ci whatsappia­mo: la loro presenza fisica non si può sostituire con nient’altro.

Valentina Malfa

Vivo da sempre, a Treviglio - ora tristement­e alla ribalta per l’ospedale - con i miei figli Pietro di 13 anni e Ale di 8; io ne ho 42, e lavoro nell’amministra­zione di una pmi. Con la clausura

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