Corriere della Sera - Io Donna

Quanta strada hanno fatto gli Amici di Edoardo

Bar, musica, corsi. Da Barrio’s, alla Barona, periferia di Milano, i giovani coltivano le loro passioni, imparano un mestiere. E trovano lavoro. Grazie all’impegno decennale di Rosella Milesi Saraval che, nel ricordo del figlio, fa germogliar­e le sue idee

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Rosella Milesi Saraval abita all’ultimo piano di una palazzina elegante nel cuore di Milano. Una bellissima luce disegna arabeschi sul caminetto, sui vasi, sugli oggetti d’arte e sulla foto di Edoardo, il figlio perduto nel ’94, chiusa in una cornice d’argento. Dritta, sottile, sguardo fiero e dolce, ottant’anni portati con incredibil­e grazia, questa madre è un esempio di dolore trasformat­o in progetto. Di lutto diventato memoria. Che cosa di può dire di un ragazzo che è morto poco prima di compiere trent’anni? Si chiamava Edoardo Kihlgren (padre svedese). Viaggiava molto per lavoro. Era stato ammesso a un master all’insead di Fontainebl­eau, il braccio europeo di Harvard. Amava la politica. Era iscritto al Pds, epoca Achille Occhetto. Aveva grandi sogni. Poche righe e nient’altro... Rosella Milesi Saraval (che ha aggiunto al suo il cognome del secondo marito) cercava un modo per ricordare Edoardo e l’ha trovato alla Barona, quartiere-landa alla periferia sud di Milano, terra di giovani senza speranza che oggi, grazie a lei, ne hanno un po’ di più. L’associazio­ne Amici di Edoardo ha piantato un seme che oggi è un albero con molti rami: il Barrio’s, birreria e centro sociale, il teatro, la Bottega di quartiere, i corsi di musica, il premio letterario Edoardo Kihlgren per un romanzo d’esordio. Tanto lavoro, portato avanti con un passaparol­a discreto e risultati sorprenden­ti. Il dolore di giorni ormai lontani, dei quali ancora adesso riesce a stento a parlare, le ha dato uno scopo, una missione. Com’è successo?

Quando ho capito che mio figlio se ne era andato, che non avrei più sentito la sua voce, il suo entusiasmo, il racconto dei suoi viaggi, sono rimasta paralizzat­a per un lungo momento. Poi, io e i suoi fratelli, Daniele e Alessandro, ci siamo detti: dobbiamo fare qualcosa. Uno voleva avviare a suo nome un’iniziativa solidale in Africa (e adesso esiste, in Rwanda), l’altro intervenir­e nei Balcani straziati dalla guerra. Io

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