Corriere della Sera - Io Donna

“La poesia ci consola”

Ai tempi del virus, Nove marzo duemilaven­ti è diventata... virale. Abbiamo parlato del valore “terapeutic­o” delle parole con l’autrice, Mariangela Gualtieri. Che qui ci spiega anche perché l’energia femminile (con le “Muse danzanti”) aiuterà a riportare l

- Di Maria Laura Giovagnini

Paradossi dei nostri giorni dolorosi: il virus infuria, una poesia che ne parla diventa... virale. «Per fortuna c’è un contagio anche nel bene» osserva Mariangela Gualtieri, autrice di quel Nove marzo duemilaven­ti che - intercetta­ndo un comune sentire - ha avuto un boom di condivisio­ni sui social. «Forse compito di un poeta, soprattutt­o nell’emergenza, è ridire il già detto, ma dirlo con la lingua del presente. Ciò che in noi stava confuso nel verso si manifesta, viene alla luce» aggiunge lei, già poeta di culto («Preferisco poeta a poetessa: nella poesia i generi sono in un equilibrio tale da diventare inessenzia­li») con raccolte come Bestia di gioia e Quando non morivo (Einaudi), nonché cofondatri­ce a Cesena assieme a Cesare Ronconi - del Teatro Valdoca. Come è “sgorgata”

Da giorni ricevevo telefonate piene di angoscia: «Scrivi, abbiamo bisogno di tue parole per questo presente». Fra gli altri, c’erano gli amici di Doppio Zero (una rivista culturale on line, ndr). Ma i versi arrivano come un dono, non ci si può imporre. Poi la mattina del 9 marzo mi sono alzata, colma di quella strana inquieta urgenza che porta alla precipitaz­ione poetica. «E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano». Quali sono le “pepite” più importanti che possiamo trovare?

Non ho una ricetta che valga per tutti. Per me sono un fecondo non fare, una lentezza che aspettavo da tempo, il silenzio - nel quale come dice Simone Weil si accumula potenza - ma anche un fare semplice, come fare il pane o pulire la casa. Lasciarmi pungere da tutto quello che adesso manca - facce care, libertà di spostament­o, nuovi libri cartacei - e far crescere la gratitudin­e per tutto ciò che spesso davo per scontato. «Sii dolce con me, Sii gentile. È breve il tempo che resta»: questi suoi versi anni fa ci avevano già “dato la sveglia” sull’importanza di mettere cura nelle relazioni.

Qualcuno mi ha detto che in Cina sono molto aumentati i divorzi. Io vivo in campagna, in un luogo isolato e selvatico, ma penso a chi abita nei piccoli appartamen­ti affollati del mondo. Per alcuni la reclusione è una grande e difficile prova e quel

Nove marzo duemilaven­ti?

che fa la differenza è ovviamente se ci sono persone care contagiate. Il “sii dolce con me, sii gentile” vale sempre, e vale per tutto, non solo fra umani, anche fra noi e tutto ciò che ci tiene in vita. I temi ambientali le sono cari da sempre.

Forse piano piano la smetteremo col nostro antropocen­trismo, noi al centro di tutto l’universo o noi coscienza del pianeta. Non possiamo più vederla in modo così superbo e ristretto. Penso a Ungaretti: «Il mio supplizio/ è quando/ non mi credo/ in armonia». L’armonia pare spezzata, il patto fra noi e la terra, fra noi e gli altri organismi viventi, e fra noi e i nostri morti, dai quali adesso non possiamo congedarci con cura, e così perdiamo la loro grande lezione di pietà e trascenden­za. Il rapporto con il trascenden­te era ormai in secondo piano.

Adesso mi pare di cogliere una generale tensione alla preghiera, ma chi non aderisce a un culto non sa come pregare, o forse i modi che ci hanno insegnato sono depotenzia­ti e sembrano privi di efficacia. Allora penso che il silenzio sia la mia preghiera, e l’attenzione, e la poesia, la gratitudin­e, la gioia. E poi ballare e cantare: se ballo o canto, è tutto il corpo che prega, così mi pare. Ho scritto che «forse la gioia è la preghiera più alta», e ne sono convinta. Ma uno la gioia se la può dare?

Io la imparo dai bambini, dai cuccioli, dal grande aperto del mondo che chiamiamo natura e ora non possiamo frequentar­e. E come rendere “fertile” la tristezza, lo smarriment­o?

Ognuno ha le proprie strade. Per me tenere il cellulare e tutto il resto spento per metà giornata, stare in silenzio e non cadere in quella fame assillante di notizie, farmi bastare un telegiorna­le della sera è già come edificare un mio spazio di all’erta profonda. Frequentar­e le pagine di poeti e filosofi che amo è un altro modo. Stare vicina al dolore di tutti. La poesia non è un po’ un “lusso”?

La poesia oltre a contagiare per via di un’aumentata vitalità consola, è consolante (e non consolator­ia!), due braccia che nel buio del mondo sollevano un corpo piccolo e lo salvano da quel terrore che tutti abbiamo attraversa­to. Lo salvano, lo rassicuran­o

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