Corriere della Sera - Io Donna
Apparecchiano e sparecchiano la tavola, aiutano in cucina, seguono i figli nei compiti. Per la prima volta, molti uomini collaborano in casa. Effetto collaterale dello smart working in tempi d’emergenza? Forse. Una ricerca sostiene che quando torneremo al
“Il nostro rapporto è più simmetrico”
«Lo smart working migliora la produttività? Avrei qualche dubbio. Io lavoro al tavolo della sala, mia moglie è di fronte con le cuffie; o parlo io, o parla lei. I ragazzi sono nelle loro camere, siamo noi a dover dividere lo spazio, e non è facile. Devo dire però che non ero abituato a vedere mia moglie lavorare in casa; mi sono accorto per la prima volta del suo impegno, del valore di quanto fa e dei suoi problemi, che corrispondono ai miei. Prima, lo ammetto, credevo che il suo fosse più una routine e soprattutto era lei a chiedermi com’era andata la giornata, quando rientravo, e non il contrario. A vederla così indaffarata, tra il suo smart working e casa, viene spontaneo dare una mano. I ragazzi cucinano e sono anche bravi, io carico e scarico la lavastoviglie; stiamo acquisendo tutti delle nuove abitudini. Per la prima volta ci occupiamo gli uni degli altri in modo equo, e mia moglie è meno oberata. Resterà qualcosa quando torneremo in ufficio? Sarebbe giusto, ma onestamente non lo so. La sera noi uomini ci accomodiamo sul divano, le mogli neanche ci arrivano, al divano. Adesso ho più energie da dedicare al lavoro domestico, rispetto al solito, e mi sto impegnando. E anche i figli non stanno mai così tanto a casa. Vogliamo risentirci tra qualche mese?».
Luca Beverina «Mi ritengo un marito abbastanza collaborativo, anche se di sicuro mia moglie non lo sottoscriverebbe. Il pavimento è pulito? Per me sì, ma lei ha una percezione diversa. Ora siamo entrambi a casa e ho fatto delle scoperte sensazionali; per esempio, dove vanno le cose. Quando entro a casa lascio le chiavi qua, la borsa là, le scarpe e il cappotto da un’altra parte. Lei dice che sono abituato all’elfo domestico, perché tutto scompare, qualcuno misteriosamente riordina. Abbiamo una bambina di 5 anni, che va all’asilo ed è sempre attiva. Tenerla a casa è durissimo, non si riesce a placarla, ma facciamo i turni. Credevo che fosse un luogo comune quello delle donne che fanno due lavori, in casa e fuori, invece è vero. Ho scoperto il mal di schiena, i rumori degli elettrodomestici ma anche il silenzio che può esserci, quando fuori tutto tace. Ma soprattutto ho scoperto il valore del venirsi incontro. Questa emergenza ha messo in gioco le abitudini consolidate; ho imparato una nuova tolleranza, una mutualità, il rapporto con mia moglie sta diventando più ricco e simmetrico. Stiamo costruendo insieme le basi per una relazione diversa, più matura». «Pensavo che tenere in casa e gestire h24 per settimane due bambini di 4 e 2 anni fosse complicatissimo, anche perché per scelta io e mia moglie non li lasciamo ore davanti alla tv. Invece la sorpresa è che ce la fai, e ti rendi conto di essere un privilegiato, perché in un tempo come questo ti chiedono solo di occuparti dei tuoi figli. Noi siamo entrambi in smart working e ci siamo organizzati così: per i bambini, 70 per cento mia moglie e 30 io. Lei si fa dare dall’asilo le indicazioni per i “lavoretti”, gli arcobaleni, i pupazzi con la pasta di sale; io sono l’addetto alla mensa, cucino sia per i piccoli, sia per i grandi. In quanto alle pulizie, nessuno deve insegnarmi niente; sono stato single fino a pochi anni fa, e da ragazzo ero ufficiale dell’aeronautica, quando ero di corvée rassettavo che era un piacere. In queste settimane faccio di tutto: passo l’aspirapolvere, lavo i bagni, pulisco i vetri con la carta di giornale come si faceva una volta. Ho vinto la sfida con l’armadietto del bagno, ora è super lucido: una soddisfazione bestiale. Però a mia moglie ho chiesto dei momenti di libertà, solo per me: alle 18 voglio sentire il bollettino giornaliero di Borrelli sul coronavirus e alle 20, quando lei mette a letto i bambini, seguo in tranquillità il Tg».