Corriere della Sera - Io Donna
Non sono un robot
hi l’avrebbe mai detto: è già la terza volta che la tecnologia mi salva la vita. La prima quando, alba degli anni Ottanta, negoziando con mio fratello che lo usava per giocare a ping pong, ho utilizzato un Commodore 64 per scrivere la tesi di laurea. Iniziando i capitoli dalla fine, spostando blocchi di testo, scrivendo e riscrivendo alla velocità del pensiero, correggendo senza impastricciarmi le mani col bianchetto, senza dannarmi per ogni refuso e recuperando tempo prezioso. La bella copia l’avrei poi battuta durante la Grande Nevicata con una macchina elettronica enorme, ronzante, lenta e dai caratteri di stampa molto più autorevoli, ma il colpo di fulmine era scoccato.
La seconda volta, 1988, durante un viaggio a New York, seguendo un’indicazione vaga ma preziosa, “vai sulla 42esima strada, c’è un negozio di ebrei osservanti e molto tecnologici”, comperai a scatola chiusa uno dei primi computer portatili. Piccolo, leggero, velocissimo. Appena arrivata in Italia lo collegai a una piccola stampante e da quel momento io, che compero solo elettrodomestici con on e off e nessun’altra opzione, che non leggo le istruzioni ma pigio tasti spesso a caso, ma sempre con grande convinzione, io sono diventata pioniera della nuova era. E mi sono tenuta stretta il lavoro in un lungo periodo di malattia che mi ha costretta reclusa in casa.
Oggi ho un rapporto affettuoso e conciliante col mio portatile: lo trascino in giro per il mondo, fa le vacanze con me, so che ogni volta che s’impunta è colpa mia e confido nella pazienza di qualche anima gentile. Dimentico a intervalli regolari password ed elenchi delle password e dove ho messo gli elenchi delle password, confondo volentieri account e username, per eccesso di fantasia ogni volta mi registro in modo diverso, con la mail, col puntino, con il nome o con il cognome, vado nel panico se compare il codice sblocco, e come sommo smacco non riesco nemmeno a convincere di non essere un robot nel quiz dove si contano steccati e colline.
Eppure, sono riuscita a convertirmi in modalità smart working senza colpo ferire. Ho imparato a usare in contemporanea computer, tablet e smartphone, a inserirmi in incontri a più voci, a sfumare sfondi, a mettere un vocabolario sotto al computer per ottenere l’inquadratura giusta. Per la terza volta, questo groviglio di bit e connessioni che è il nostro presente digitale ha salvato a me, come a milioni di noi, la vita lavorativa.
Ma arriva un punto dove persino tra colleghi ci si dice, dallo schermo, arruffati e un po’ straniti, “Ho voglia di vedervi”, e lì c’è del sentimento vero. Torna nostalgia dell’altra vita, quella fatta di pancia, di sguardi, di corpi, di contatti ed energie sottili. Quella non meccanica e ripetitiva, ma imprevedibile e caotica. Il fuori, con il suoi cieli, i tramonti, i profumi, gli odori, e un altro tipo di confusione. Perché la tecnologia può salvare la vita. Ma renderla degna di essere vissuta è un’altra cosa.
C
Voglia di tenerezza io Donna
Il decreto ha chiarito che i 200 metri entro cui ci si può muovere sono da valutarsi in linea d’aria. I miei anziani genitori, quasi novantenni, abitano vicino a casa mia, credo che i metri siano un po’ di più. Ho sempre seguito la strada per andare da loro. Ma qualche giorno fa ho deciso di attraversare un campo, che non avevo mai attraversato. Ho contato i passi, sono poco piu di 200. Ogni giorno atttraverso il campo, vado da loro, sto fuori dal cancello, loro stanno sul balcone. Gli porto il giornale, qualcosa di buono, le parole crociate. Parliamo. Gli dico e ripeto di non uscire. Stanno bene. Quel campo è la mia linea d’aria, quella che mi tiene vicino a loro. L’aria che ci fa respirare.
Angelo Ghidotti
Il mio sabato è iniziato in ritardo, ho raccolto le forze per fare il caffè dopo le undici. Cosa mi sarei inventata per riempire quest’altro giorno di quarantena: cosa mi rende veramente felice? “Prima”, questa domanda, cruciale, era sempre offuscata dalle mille attività, impegni e distrazioni. Ora sono costretta a farmela, e a rispondermi. Ho 24 anni, sono appassionata di lingue, ne parlo cinque. Scelgo quelle in cui sono più disinvolta e decido di metterle a disposizione. Scrivo un post: offro lezioni gratuite. L’iniziativa ha successo: mi contatta un vecchio amico, da sempre affascinato dall’arabo. Dopo la sua, altre richieste. E anche quest’altro giorno di quarantena è salvo!
Sara Farouq
Sono trascorsi giorni impegnativi, tra video lezioni, video ricevimenti e video lauree. Seguiranno i video esami. Ma sono contenta di farlo, di averlo fatto. Per i miei studenti, per la nostra Università, così variegata. La didattica a distanza non è facile: manca, soprattutto all’inizio, il riscontro dagli studenti, l’energia derivante dalla presenza fisica. Ma le potenzialità sono tantissime e forse ancora da scoprire. L’aula virtuale supera i limiti e i disservizi legati all’obsolescenza delle aule reali, permette di interagire in modi differenti ma spesso molto efficaci. Forse la sinergia tra reale e virtuale può essere ben sfruttata, anche nel futuro. C’è sempre del bello e del buono. Questo dovremo valorizzare quando tutto sarà superato.
Mariantonietta Intonti, Dipartimento di Economia e Finanza Università
Aldo Moro di Bari
Tatatatarà tatatarà… è lui che scandisce il tempo della giornata. Da alcuni mesi un picchio si è stabilito su un albero del giardino del mio condominio a Roma. Ogni giorno comincia a ticchettare allo stesso orario. Abbiamo riscoperto che il giardino condominiale non è solo lì per bellezza. La mattina sdraiati al sole ci sono Ricciolo e Valanga, due gatti di colonia: paciosi e tranquilli osservano le gazze che stanno facendo il nido. Il pomeriggio c’è il papà che si siede sotto l’abete a leggere le favole al figlio: mentre lui legge il ragazzo stringe il suo orsacchiotto e in silenzio osserva, ascolta, pensa; c’è il condomino che fa il giro del giardino in tuta e scarpe da ginnastica correndo quattro volte in tondo; ci sono i genitori con la bimba che sta imparando ad andare in bicicletta con le rotelline. Per ora va solo diritto e quando deve sterzare scende dalla bici e la gira. Taratatrà taratatrà il picchio scandisce il tempo, fino a sera quando i pappagallini verdi ne prendono il posto.
Barbara Pellegrino
Era tanto tempo che non compravo più io Donna e, felicemente, ho ritrovato il giornale che voglio leggere. Senza tralasciare, ovviamente, il lato frivolo ma intrinseco del nostro essere donne, la moda. Continuerò a leggervi.
Giuliana Ranaldi
Sono una bancaria e lavoro da casa a giorni alterni. Quasi quotidianamente con i colleghi faccio una riunione via Skype, “il caffè del mattino”: ci scambiamo le informazioni tecniche del lavoro, ma è il modo per “stare” insieme, noi che abitualmente si passa otto ore in uno stesso spazio, per fare una battuta, darci un incoraggiamento. E poi ci sono le telefonate con i clienti. Che non sono solo scambi di informazioni, lo si sente chiaramente. Come se si mettessero da parte i ruoli per dirsi “Ehi!, sono una persona. E ho paura. Per me. Per la mia famiglia. Per la mia azienda”. E allora il mio lavoro diventa molto più di un lavoro. Forse non avevo mai sentito tanto forte la sua dimensione umana.
Milena Privileggio
Dopo un mese senza parrucchiera, la ricrescita bianca dei miei capelli era evidente. Dunque, scelto accuratamente