Corriere della Sera - Io Donna
La strada da fare, aperta la porta
Nessuno sa prevedere come reagiremo alla nuova “normalità” che ci attende. Non si può escludere che la difficoltà, economica e mentale, a fronteggiare il domani, renda più fragili e aspri i rapporti. Serve correre ai ripari già ora
Le finestre della mia camera danno, a una strada di distanza, su un parchetto comunale riservato ai cani. Da quando è iniziata la quarantena cittadina mi addormento e mi risveglio spesso in mezzo al frastuono che si alza da quel recinto ravvicinato. Il problema non è tanto l’abbaiare degli animali, il cui umore in queste settimane deve essere decisamente migliorato grazie alla moltiplicazione delle passeggiate che ha permesso a tutti i membri della famiglia di farsi un giro fuori le mura. No, a irrompere nelle mie giornate sono state le risse tra i padroni, molto più frequenti di prima: insulti gridati a un volume capace di coprire il social distancing, la distanza di sicurezza sociale imposta dai decreti e soprattutto dal timore reciproco di infettarsi.
La litigiosità che prorompe da quel fazzoletto di prato ha cominciato a farmi paura. È così che usciremo dalla quarantena collettiva? Ostili e fragili, inclini a temere che agli altri sia andata ingiustamente meglio e quindi determinati a livellarci nell’amarezza? Quelle audioscene da aiuola riarsa dal sospetto cancelleranno l’eco degli ultimi applausi sui balconi?
Non esistono esperti in questa storia di Covid-19, è stato scritto, perché nessuno nessun Paese o comitato scientifico - ha mai fatto un’esperienza accostabile a quanto stiamo vivendo. Vale anche per ciascuno di noi. Quello che verrà è ignoto, incerto, sicuramente complicato. Uscite scaglionate per fasce di età, patenti di immunità in base agli anticorpi, tracciamenti digitali con bip per segnalare il pericolo di contagio, tamponi a pioggia intermittente, distanziamento perenne sul tram come al cinema e - chissà - in spiaggia... Se chiuderci dentro di colpo è stato sconvolgente, riaprire gradualmente sarà una prova che chiederà a ciascuno di noi ancora di più in termini di conoscenza e di volontà. E sarà uno sforzo individuale tremendo perché da remoto, dove adesso viviamo, neppure capiamo bene che cosa significherà dire “noi”. In assenza di compagni di classe o di squadra o anche solo di treno delle 7.30.
La psicanalisi propone come antidoto alla rabbia pervasiva un esercizio quotidiano: fermarsi nel proprio dolore, starci, raccoglierlo e nominarlo, risalirlo. Finché la furia interiore, come un vecchio drago nostalgico di un’epoca che è finita, non smetterà di scalciare contro le pareti in cerca di un nemico che non c’era e non c’è.
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La rubrica torna il 3 maggio.