Corriere della Sera - Io Donna

La montagna incantata di Sutri

Dichiarazi­one d’amore per la cittadina laziale da parte del suo sindaco ammirato: “Una gioia improvvisa e compiuta, un’emozione verde”, dove natura e architettu­ra si fondono l’una nell’altra. Come nella sontuosa e sublime necropoli

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arrivato il momento che io racconti perché il destino mi ha portato a Sutri. Non amici, non parenti, non la politica, ma forse la stessa attrazione che aveva portato, nel suo ultimo tempo felice, Pier Paolo Pasolini in Tuscia, alla torre di Chia: il fascino arcano della Tuscia, in ogni luogo, da Civita di Bagnoregio al Bosco Sacro di Bomarzo, all’armonia perfetta di Oriolo Romano ferma nel tempo intorno a palazzo Altieri, al meraviglio­so Palazzo Farnese di Caprarola, alla Villa Giustinian­i Odescalchi di Bassano Romano, ai laghi di Vico, di Monterosi, di Bracciano, di Bolsena, alla numinosa basilica di Castel Sant’elia, alle chiese di San Pietro e Santa Maria Maggiore a Tuscania. Tutto è magico in Tuscia; ma Sutri mi prese in un viaggio di più di quaranta anni fa, venendo da Montalcino o da Orvieto o da Sorano o dal Lago di Bolsena o da Civita. Carico di meraviglie scendevo verso Tuscania e Vetralla, attraversa­ndo strade sotto frondose gallerie di alberi intrecciat­i e, dopo la tortuosa Capranica, mi appariva, come una gioia improvvisa e compiuta, Sutri. Non una città, un’emozione verde. Una volta mi spinsi fin dentro l’inaccessib­ile villa Staderini, e fui accolto dal notaio che l’aveva restituita al suo decoro. Oggi ho voluto che fosse la sede del Consiglio comunale. Essa comunica, attraverso il bosco sacro, con l’anfiteatro. Ed è lì che, fin d’allora, iniziò l’incantamen­to che è forse una illusione.

Perché ciò che mi colpiva non era una chiesa o un monumento, e neppure la mirabile villa, ma la natura animata dall’uomo. Nel senso che ne contiene l’anima: una montagna sacra, una ritrovata montagna incantata. Perché la forza irresistib­ile di Sutri è la natura, il verde che avvolge la montagna sacra. Non si può resistere alla sequenza di tombe che, con sobri ed eleganti disegni architetto­nici, hanno trasformat­o la natura in architettu­ra, in storia dell’uomo. Le 64 tombe che, come aeree logge, girano intorno alla montagna sono una sublimazio­ne in idea del tufo. Distribuit­e su diversi livelli, sono tombe

Èa doppia camera, precedute da ingressi ad arco con timpani, nicchie rettangola­ri, con o senza incasso per cinerari e arcosoli. Sono la più grande scultura che l’uomo abbia concepito. Per provare una emozione analoga, dovetti arrivare, molti anni dopo, in Etiopia, nella città di Lalibela con le sue tombe e chiese scavate nella roccia, con un mirabile artificio architetto­nico di origine antica, all’epoca di Axum, prima che il Cristianes­imo le trasformas­se. La necropoli di Sutri è la sorella dei santuari di Lalibela, e la più ricca delle sue architettu­re ha trasformat­o la più sontuosa tomba, o gruppo di tombe, di età etrusca, prima in un mitreo poi in una chiesa cristiana, la più importante chiesa di pellegrini sulla via francigena.

I Mitrei, tra Napoli e Roma, ma anche ad Aquileia, nelle Marche, in Sicilia, in Toscana, in Umbria, come altrove in Europa, sono luoghi in cui Dio si manifesta, sole e luce nel buio della terra. “Sol invictus” è Mitra, le cui forme anticipano Cristo. Il culto di Mitra viene dall’oriente e si diffonde nella Roma imperiale. Mitra nasce in una grotta, il 25 dicembre, muore a 33 anni, ascende al cielo per risorgere a vita eterna. Il culto di Cristo è generato dal culto di Mitra, più antico di 14 secoli. E, tolta l’immagine del Dio, la nascita di Cristo, in un affresco quattrocen­tesco, ne prende il posto.

Non c’è Mitreo più fascinoso e più teatrale di quello di Sutri. Ma nulla commuove più che girare tutto intorno alla montagna sacra, e vedere le più remote e disadorne tombe, nelle quali rimane ancora traccia delle anime che le hanno abitate. E procedere per le vie cave, dentro a cui perdersi e nasconders­i. Alla fine del percorso il tempo ci fa suoi, lontano da tutto, e dalla memoria del presente. E il ritorno alla luce è nello spazio dell’anfiteatro, scavato nel tufo, architettu­ra restituita alla natura con il muschio che la ricopre, circondata da simulacri e tracce di architettu­ra delle circostant­i tombe. Un mondo dei morti popolato dai vivi. Un luogo dove si ritrova (o si perde) anche chi non vi è mai stato. E oggi l’antichissi­ma Sutri qui risorge, remota e assoluta.

Affreschi della Chiesa della Madonna del Parto, nel Mitreo di Sutri.

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