Corriere della Sera - Io Donna
Dalla “spagnola” al coronavirus, la resistenza delle donne
Non si è mai capito bene perché di febbre spagnola morissero più donne che uomini. Probabilmente perché le donne stavano ai capezzali dei figli, dei mariti, dei padri, e a loro volta si ammalavano e morivano. Almeno 350 mila vittime. Vennero aboliti i funerali e ripristinati i monatti, come al tempo della peste manzoniana, pagati 15 lire per ogni corpo che portavano via. La tragedia di queste settimane non è paragonabile a quella di oltre un secolo fa. Ma colpisce duro anche perché, dopo decenni passati a esorcizzarla, la morte fa più paura di quanto facesse un tempo. Il coronavirus, a differenza della spagnola, colpisce più gli uomini delle donne. Quasi tre quarti delle vittime sono uomini. Forse qualche scienziato ci spiegherà il perché. Dicono che gli uomini tendano di più a fumare e quindi avrebbero i polmoni più rovinati. Di sicuro le donne sono più forti. Non soltanto le signore anziane; chiunque abbia avuto molti figli sa che le femminucce si ammalano meno dei maschietti. È noto che le donne vivono più a lungo; per questo al mondo ci sono più donne che uomini. Eppure le donne - medici e infermieri - non si sono certo risparmiate, neanche in questa circostanza: rispetto al 1918 ci sono molte più donne in camicie bianco, non solo come crocerossine ma come dottoresse. È stata una donna la prima ad avere l’idea di verificare se un paziente avesse il coronavirus (il 19 febbraio a Codogno); sono di donne i volti simbolo della crisi, dall’infermiera stanca che si addormenta sul computer alle specialiste che hanno lavorato duro e hanno prodotto analisi convincenti. Forse ci voleva qualche donna in più anche ai vertici, per evitare almeno qualcuno dei molti errori commessi. Ne riparleremo.