Corriere della Sera - Io Donna

Più tempo per...

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avvisaglia ha per me una data precisa: 12 febbraio di quest’anno, il giorno prima del mio compleanno. Compiere quegli anni meritava una sosta un po’ speciale; invece ancora una volta, nel normale succedersi di lavoro e vita, c’era un ingorgo e io ero lì in mezzo. Comandavan­o loro, i doveri che insidiavan­o i piaceri, i piaceri che diventavan­o incombenze, i due che si rincorreva­no, e io subivo in affanno. Troppo in fretta, tutto insieme, sullo stesso incessante tapis roulant.

Il breve viaggio arrivato senza il tempo di dare un’occhiata alla guida, agli itinerari, agli hotel, eppure a me piace prepararmi un po’! L’abbonament­o a teatro, solo cinque sere all’anno!, ma sempre una corsa ufficio-casa-doccia senza ricordare che spettacolo avrei visto, senza il tempo di scegliere il vestito più carino e provare gli orecchini della nonna. La casa con le pile di libri ammonticch­iate in ogni angolo. Le vite dei figli troppo veloci. Il dubbio, prima di partire stremata per le vacanze a esplorare nuove destinazio­ni, che il vero toccasana sarebbe, almeno per una settimana, sempliceme­nte restare. In città, per riprendere fiato e ricentrarm­i. E quel sogno, sempre lo stesso a intervalli regolari: devo andare ma sono in ritardo, devo partire ma non trovo il passaporto, devo rientrare ma ho perso i soldi. Ansia.

Lì, subito dopo quel compleanno importante, è arrivato lo stop. E al netto del sacrificio di chi è in prima di linea, del dolore per chi non c’è più, delle ombre sul futuro, delle nuove regole di comportame­nto e dell’antica paura di perdere tutto, come tutti ho fatto ordine. Nei cassetti e nei pensieri. Figli grandi, spazi da ripensare, smart working. Mi sono riappropri­ata della casa e dei suoi ritmi come non avevo mai fatto. Mi sono consegnata a lei, me ne sono presa cura e mi ha fatto piacere: niente come il lavoro manuale mi rasserena l’animo. Ma la casa è calda e insidiosa, ti avvolge, il nostro destino antico ti risucchia, il carico è pesante, la routine implacabil­e. Ogni giorno ricomincia da zero la stessa lotta alla polvere. Nessuno te lo riconosce, niente te lo ripaga, tutto si ripete. Ho fatto bene a uscirne, prima che potevo, e ogni tanto ricordarlo sarà utile.

La seconda sorpresa è stata scoprire che il tempo libero, di cui favoleggia­vo perché mi sembrava di averne un assoluto bisogno, è poco più che un’illusione. La mistica del “tempo per sé”, dove noi giornali femminili abbiamo la nostra dose di (leggiadre) responsabi­lità, è diventata all’improvviso a portata di mano. Nella soluzione da rotocalco, un bagno caldo con una candela accesa. Venti minuti. Nella migliore delle ipotesi, finire di leggere un bel libro alle 11 della mattina. Un’ora di sole sul balcone. Prendersi un pomeriggio libero da tutto e da tutti. Trasgressi­oni accettabil­i. In ogni caso, nulla di cui valga la pena disperarmi quando tornerò in ufficio. In fondo, mi mancava solo un poco più di calma. Ricentrarm­i. Stare nel respiro, nel mio respiro, come insegna lo yoga. Semplice e forse nemmeno così difficile, se varrà per tutti.

L’

Il primo gesto del mattino è aprire la webcam sull’alpe di Siusi. È lì che voglio andare appena finita la quarantena: partire all’alba e camminare per un giorno intero accompagna­ta solo dai miei passi. Ricordo qualche anno fa: rimasi bloccata per mesi sul divano. Ricordo come sopra ogni altra cosa io desiderass­i andare a correre al Passo Gardena, perché se fossi riuscita a percorrerl­o di nuovo di corsa mi sarei riappropri­ata di me stessa. Quando finalmente arrivai in cima, mi inginocchi­ai con il cuore colmo di gratitudin­e e diedi a quella salita il nome di “preghiera di gioia alla vita”. Credo che la lezione più grande di questo periodo sia quella di ritornare all’essenza di noi stessi e a scegliere le nostre “preghiere di gioia alla vita”.

Loredana Snowinluxu­ry

Vi voglio raccontare di come la quarantena ha fatto del bene a me, cattiva dormitrice, proprio quando i buoni dormitori cominciano a soffrire d’insonnia. Avevo iniziato un trattament­o cognitivo comportame­ntale interrotto all’insorgere dell’emergenza. Eppure, imparata la tecnica essenziale, la quarantena mi ha traghettat­o verso un equilibrio di sonno stretto ma regolare, che mai avrei sperato. Sono sempre stata impaziente, incapace di sacrificar­e alcunché: mi sono ritrovata con un buon lavoro, un compagno di vita che amo, l’indipenden­za e molti problemi di somatizzaz­ione di ansia e tensione. Certo, ora la differenza la fa il tempo scandito da pause nel verde intorno a me, la vista del lago, la terrazza soleggiata (il privilegio, insomma). Ora non somatizzo più la rincorsa al riempire una vita già piena, a cercare altrove una salute che ho già nelle mie mani. Ai buoni dormitori, ora insonni, auguro di imparare la lezione vissuta sul mio cuscino: a volte stringere significa allargare, svuotare significa riempire, aspettare significa ottenere.

M.S.

Ho sempre pensato di essere abituato all’isolamento forzato: chiuso in un collegio per orfani di guerra, fin da bambino ho coltivato la solitudine come energia di vita. Nonostante una vita soddisface­nte - sposato, due figlie, ora nonno, un lavoro che ho amato e che mi ha gratificat­o - ho sempre vissuto chiuso nel mio mondo: non ho mai urlato di gioia, non ho mai detto ti amo, trovandola parola abusata, convinto che bastasse un gesto, un piccolo segno per esprimermi, come il collegio mi ha insegnato. Ma ora che sono forzatamen­te chiuso nel mio studio a fare la cosa che ho sempre desiderato fare (dipingere) e mi sento vulnerabil­e, non mi basta più questo mio rifugio, sento che dovrò uscire e gridare al mondo che amo la vita, che amo quello che ho costruito, specialmen­te negli affetti.

Gianbattis­ta Bonazzoli

Cosa rimarrà di questi giorni condivisi così a stretto contatto? Molto. Soprattutt­o nei rapporti tra di noi in famiglia non si darà più nulla per scontato. Ci siamo in qualche modo ritrovati e ricordati di come eravamo anni fa... quando i ragazzi erano bimbi che stavano tutto il tempo insieme a noi. Ben

venga la normalità dei figli che crescendo non hanno più tempo per te, ma per i genitori dall’altra parte della barricata è anche doloroso. Quindi se ripenserò a questi momenti (e succederà) quel che ùproverò più di tutto dentro al cuore sarà la nostalgia di aver avuto i miei figli un’altra volta solo per me.

Liettina71

Io sono single sin da piccola. La mia camera, fratelli fuori, studi, letture in assoluta, magnifica, solitudine. Relazioni sentimenta­li con uomini intelligen­ti, ma ognuno a casa propria. Uno di loro mi ha detto “è difficile stare con te, perché tu sei sposata con te stessa. Hai i tuoi riti di coppia, le regole ti danno sicurezza e ti ci trovi benissimo”. Voglio dare questo consiglio: il vostro sano rapporto con voi stesse, la concentraz­ione sui vostri interessi interiori, sono sufficient­i e risolutivi, laddove la convivenza con qualcuno vi sta annientand­o.

Grazia Daverio

Eccoci qua, un altro giorno in quarantena, lontano da mio figlio, appena nato, l’11 marzo, sospeso in questa realtà surreale. Lui che appena nato ha già conosciuto il virus, perché il suo papà non sapeva di essere già malato nell’istante che lo prendeva in braccio e se lo coccolava. Poi non l’ha più potuto fare, la febbre è salita e la consapevol­ezza di essere malato e di dovermi allontanar­e da lui cresceva e poi si materializ­zava in certezza. Per fortuna il virus è clemente con lui, per fortuna madre natura ha calato un velo protettivo sui bambini. Eccoci qua, un altro giorno da solo. Un altro giorno lontano da mia moglie, che tanto necessiter­ebbe del mio aiuto, adesso che ha appena partorito, adesso che allatta ogni due ore, che ha dovuto prendersi cura di suo marito ammalato, dei suoi tre bambini (oltre al neonato Greta e Giacomo, due e quattro anni). Da sola, perché anche lei in quarantena, a convivere con la paura di essersi anche lei ammalata, di non poter più allattare, di dover abbandonar­e suo figlio appena nato. Eccomi qua, lontano dai miei colleghi, dal mio ospedale, dalle persone che continuano a fare il proprio lavoro, che a volte si offrono in prima linea. Non eroi, persone che svolgono il loro lavoro, come tutte le persone che non hanno mai smesso di lavorare anche in questa emergenza, a testa bassa senza parlare, ma muovendo le mani.

Lorenzo Q.

Sono seduta davanti a uno schermo, nella cucina dell’appartamen­to in cui ho preso una stanza in affitto e aspetto. Attorno a me c’è il silenzio, sono sola, il mio computer e io. Dopo un’attesa che sembra interminab­ile, la commission­e riappare sullo schermo e sento: “Per l’autorità conferitam­i dal Magnifico Rettore la proclamo Dottoressa magistrale in Internatio­nal Security Studies”. La gioia è tanta, ringrazio i professori, chiudo la connession­e e mi guardo attorno. Ma sono sola, silenzio attorno a me.

A novembre ho iniziato un tirocinio a Ginevra presso un istituto dell’organizzaz­ione delle Nazioni Unite che conduce ricerche su tematiche di sicurezza internazio­nale. Nel contempo lavoravo alla tesi. Il 26 febbraio l’ho consegnata: già c’erano preoccupaz­ioni e incertezze, mi chiedevo se rientrare a casa a Padova, o rimanere qui in Svizzera. Alla fine sono rimasta e nel pomeriggio del 12 marzo sono diventata Dottoressa. Oggi sono ancora a Ginevra, e lavoro da casa dalla stessa piccola cucina da dove ho discusso la tesi. Cerco di rimanere positiva e porto avanti i miei programmi: ora più che mai ho bisogno di tenermi occupata e non farmi troppe domande.

Valentina Bacco

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“Scrivo e mi conosco” (io Donna n° 15), sulla scrittura come terapia.

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