Corriere della Sera - Io Donna
“Ho un ufficio in sala da pranzo”
«A Parigi divido il mio tempo tra l’appartamento e lo studio, che è nello stesso isolato, a due minuti di strada. Pur avendo un home office, a casa lavoro al tavolo della sala da pranzo. Mi sento meno isolata, ho più spazio, c’è una bella luce e ho una vista. Non ho riconsiderato solo la mia casa ma tutta la mia vita, in questo periodo. E ho imparato che lavorare a distanza con Zoom comincia a piacermi. Quando mi collego, alle mie spalle, c’è il disegno di un artista francese di origine algerina, Adel Abdessemed, con la scritta “exiled”, esiliato. Sento che è dove ci troviamo tutti adesso, in esilio nelle nostre stesse case. Progettarle per me è come fare un ritratto, creare uno spazio pubblico ha molte più implicazioni: significa interrogarsi su un programma, creare un’identità. Per quanto riguarda il privato, d’ora in poi dovremo tutti capire come adattare il lavoro a un contesto familiare, forse dovremo prevedere un’area dedicata alle riunioni da remoto e alle conversazioni telefoniche per non disturbarci l’un l’altro. Nel frattempo ci sono tanti modi per rendere gli ambienti più piacevoli. Cambiare la disposizione dei mobili, appendere un quadro, frugare negli armadi e dare via quello che non ci serve. Tornare all’essenziale. Il libro che ho pubblicato nel 2012, Home (Ippocampo), è pieno di consigli. La mia cucina, paragonata alla metratura della casa, è piccola, ma ho fatto in modo che sembrasse un soggiorno. C’è tutto quello che aggiunge calore e colore: arte, tende, luci a sospensione, fotografie, mobili interessanti. Ho anche un paravento viola e tante piante vicino alla finestra. La maggior parte del tempo la trascorro lì».