Corriere della Sera - Io Donna
Fuori porta
i viene a trovare in questo periodo dell’anno lo stesso sogno: un’indecifrabile casa di vacanza, arredi noti e altri più misteriosi, quasi un’idea platonica della casa di vacanza. Giro, apro porte e scopro una stanza che non ricordavo. Un salotto mai visto, una veranda, un nuovo angolo di verde. Mi stupisco, mi rallegro e comincio a pensare a che cosa farne. Questa volta - versione Fase 2 - ho sognato che avevo comperato un piccolo appezzamento di terra e me lo consegnavano con il camioncino, come fosse una moquette di verde. La sistemavano in casa, stesa come un tappeto, un po’ ingiallita e ammaccata, e mi domandavo quanto tempo sarebbe stato necessario per farla ritornare verde e vigorosa.
A metà primavera sono travolta dal richiamo irresistibile a un altrove pieno di sorprese. Un’interpretazione dei sogni a buon mercato legge nella scoperta di nuove stanze il desiderio di esplorare un’altra dimensione di sé. Ma io credo si tratti, solo e semplicemente, di voglia di libertà e altri cieli. Oggi con un sovrappiù fortissimo, atavico e molto fisico: il desiderio di verde dopo la clausura. La natura dentro, se non puoi avere quella fuori, suggerisce il mio inconscio ribelle.
Così non mi stupisce affatto che nella ricerca che abbiamo condotto sul futuro che vorremmo (a pagina 33) il primo desiderio di rinascita passi per la stessa parola magica. Il 44 per cento delle italiane (con punte del 48 per cento tra le più giovani) sogna la vacanza. Dopo aver pulito la casa, organizzato lo smart working, seguito le lezioni del figlio, pianificato la spesa per tutti, inventato menu due volte al giorno, il relax vacanziero, senza pensieri, alla giornata, vince su tutto.
Quindi, non se ne abbiano i benaltristi. Certo, abbiamo ben altro a cui pensare, e ci pensiamo. C’è da ricostruire, e ricostruiremo. C’è da preoccuparsi dei più fragili, continuare a vigilare e non abbassare la guardia. Lo faremo. Ma siamo italiani. Siamo circondati da paradisi vicini e possibili, dove riconnetterci alla natura e al mondo. Sono i nostri rifugi, dove ognuno si inventa la sua dimensione parallela. E quando è il momento, se non ti palesi, i luoghi del cuore ti chiamano, come un congiunto di secondo grado o un affetto stabile dimenticato.
Desiderare rimetterci piede è concedersi, dopo tanto spavento, una breve, innocente evasione. Saremo bravi bravissimi e attenti attentissimi. Tamponateci, sieroprelevateci, pedinateci, seguiteci, tracciateci, sorvegliateci. Sono disposta a firmare in municipio ogni sera, ad abdicare alla mia libertà individuale, a rendere pubblico ogni spostamento. A portarmi dalla città la spesa grande. A non avvicinarmi a nessuno. A indossare la mascherina anche in casa. Solo per un fine settimana fuori porta.
M
Esercizi d’amore per una nuova me io Donna
Cara Danda, ha ragione Enrico Bertolino. Nel suo ultimo libro, Le 50 giornate di Milano, annota fra le conseguenze positive del coronavirus anche la digitalizzazione dei nonni. È vero: è finita che per vedere i nipoti, fare la spesa, e prenotare una visita all’ospedale anche gli over 70 si sono piegati alla tecnologia. Non era affatto scontato e sono venuti fuori i caratteri più combattivi, quelli degli anziani che non vogliono arrendersi e che, partiti in un’epoca in cui l’unico telefono del paese era al bar, sono giunti a misurarsi con le video chiamate Whatsapp. Mia mamma è una di quelle: ha seguito un tutorial su Youtube per imparare a tagliare i capelli a mio papà il quale, con grande spirito di adattamento, l’ha lasciata fare. E il risultato non è neanche così male.
Eleonora Ballista
Cara Danda, sono d’accordo con quanto sostiene Paolo Conti (su io Donna n° 16): se sto lavorando, anche se mi inquadrano solo il mezzobusto, non solo devo essere vestita, pettinata, truccata, profumata e ingioiellata, ma anche accessoriata e calzata a dovere: ne derivano la corretta postura del viso e del busto, migliora la respirazione e l’ emissione della voce. Come disse il grande Mike Bongiorno, durante una registrazione radiofonica - non ricordo se a Ornella Vanoni o a Iva Zanicchi anche in radio bisogna essere vestiti di tutto punto, come per una rappresentazione, e allora anche la voce sorride.
Jacqueline Malandra
Cara direttrice, sento nitidi il respiro, il battito del cuore, il gorgogliare della pancia che sono suoni miei da sempre, ma che ora fanno quasi baccano e insieme ai pensieri che fortunatamente sono tanti mi fanno sentire viva, in compagnia di me stessa. Inizio a parlarmi e, come fossi un’alunna, mi do compiti da consegnare a fine giornata.
Sistemo lo specchio e mi metto in prima posizione, la mano sinistra alla maniglia dell’armadio e inizio la sbarra. Nel silenzio il mio corpo ripete il linguaggio a memoria, la musica è dentro, la sequenza mi impegna e respiro senza pensare che possa essere strano danzare da sola. Cinque, sei, sette otto e poi da capo, fino a che il sudore scende piano nel collo. Continuo assaporando ogni gesto come un regalo, in effetti lo è. La danza si porta via tutto e lascia una sensazione di felicità.
Donatella Deidda
Cara Danda, in tutto questo disordine, dopo giorni tristi e lunghi, sono riuscita a tirare fuori il meglio di me, a risvegliare quella parte che avevo soffocato, e ho ritrovato la leggerezza. Dopo anni travolti dalla pesantezza della crisi economica, dalla disoccupazione e da problemi familiari, avevo perso di vista me stessa. Ma adesso sento albeggiare con forza una ritrovata gioia di vivere sotto la nuvola grigia, il bisogno di tornare a prendere la vita con tranquillità, accettandola per quello che mi offre oggi e prendendone ogni giorno il meglio, vedere la bellezza delle cose e trovare soddisfazione dal presente.
Dire più Sì. Saper sorridere di fronte ad ogni situazione. Riuscire di nuovo a piacermi e a sentirmi giusta, anche senza un lavoro, anche senza essere perfetta. Questo periodo di stand-by mi è servito per ragionare e ritrovare me stessa, rivedere la vita per quello che è, con la semplicità di un tempo, con quella inappagabile nostalgica leggerezza.
Novella 88
Cara Danda, “sono sola”, due parole scandiscono la mia vita. Da un anno, dopo 46 di matrimonio, sono sola. Mai come ora queste parole pesano e definiscono la mia vita. Ogni tanto mi viene da piangere e provo rabbia e rancore, poi un lampo nel cervello: ce la posso fare, ce la sto già facendo. È un anno e sono qui, viva, autosufficiente, consapevole di me e delle mie potenzialità, serena. Penso al futuro, a come posso godermi quello che ancora la vita mi può offrire. Mi godo la mia grande e bellissima casa, la mia assoluta libertà, gli amici che mi hanno cercato e che affettuosamente sono presenti nella mia vita.
Penso a lui, chiuso in una casa piccola e bruttina, con una donna con cui non voleva convivere ma fare solo l’eterno fidanzato, lui che voleva sentirsi ancora amato e vivo, via da una noiosa routine.
Lui ci è ricascato. Io no, sono libera e, dopo essere stata bruco tutta la vita, sono diventata farfalla.
G.R.