Corriere della Sera - Io Donna
#ilfuturochevorrei
Vengono chiamati così i bambini che continuavano a nascere mentre il mondo si fermava, le economie crollavano, i sistemi sanitari arrivavano al collasso e le città si svuotavano. Abbiamo chiesto a tre madri, a pochi giorni dal parto, di provare a immagina
ambierà tutto? È già cambiato? Cambiano persino le domande che ci facciamo. Da un tempo forse troppo lungo, quando si tratta di provare a fotografare una generazione, abbiamo permesso che a dettare i punti di domanda fossero l’economia, il marketing (cosa vogliono comprare i Millennial, come connettersi alla Generazione X, dove vogliono passare il proprio tempo gli Z). Ora, se queste curiosità verranno spinte ai margini da una nuova, riscoperta essenzialità, la domanda giusta da porsi per provare a capire chi sono i nuovi individui, i nuovi cittadini, forse è: come guarderanno il mondo?
La chiamano già C-generation, la generazione nata al tempo del Covid-19, dimenticando che qualcuno - Brian Solis, analista digitale - l’espressione l’aveva coniata - era il 2012 - e proprio per riferirsi ai “Connected Consumer”, i consumatori connessi. La nuova versione dell’etichetta va senz’altro oltre la caratterizzazione di chi felicemente spende su Amazon o su Yoox, anche se forse la comprende. Se ogni generazione, dal dopoguerra in qua, ha assorbito ed elaborato la propria dose di traumi globali, dalla bolla del ’99 all’11 settembre, alla grande recessione del 2008, qual è il fardello con cui la Generazione C potrebbe doversi misurare? E quali gli strumenti che avrà a disposizione?
Il professore Enrico Ferrazzi, Direttore per l’area Donna del Dipartimento della Donna Bambino e Neonato presso il Policlinico di Milano-mangiagalli, ha condiviso il destino di molti di loro. E delle loro madri. «Dall’inizio dell’anno alla Mangiagalli sono nati 146 bambini in più rispetto allo stesso periodo del 2019», nonostante l’emergenza. Cambiamenti, ci racconta, ne ha visti parecchi, già nel modo in cui le donne - private della vicinanza del partner durante il puerperio (nella prima fase della pandemia, i padri venivano ammessi solo in sala parto) - hanno saputo creare una «nuova forma di condivisione e responsabilizzazione tra di loro, molto femminile, quasi tribale».
Questa dunque la porta d’ingresso nel mondo, un temporaneo gineceo. E poi? «C’è un’immagine buffa che ha girato un po’ dappertutto sui social in queste settimane» dice Ferrazzi. «Quella di un cane che esterrefatto si chiede: “Com’è che ora la museruola la portano loro?”. Drammaticamente vero. Il nostro modo di decifrare i comportamenti e le emozioni, e quindi di attrezzarci per gestirle, passa per l’osservazione del viso dell’altro. Così siamo stati geneticamente istruiti dall’inizio dei tempi. Il rapporto che questi bambini avranno, prima di tutto con la madre, e poi con il resto del mondo, passerà quasi esclusivamente attraverso gli occhi. Il loro cervello si attrezzerà per fare esperienza dell’altro senza poter vedere ciò che è celato dietro la mascherina. Produrrà dei cambiamenti? È tutto da studiare».
Abbiamo incontrato tre neo-madri, a pochi giorni dal parto. Le più attrezzate a valutare come le vite di questa nuova generazione che si affaccia al mondo saranno modellate da ciò che è accaduto negli ultimi mesi nelle nostre città e nelle nostre case. E dalle scelte che abbiamo fatto e che faremo.
C«Non è stata la mia prima gravidanza, abbiamo già una bambina, Noemi di 5 anni. Posso fare il confronto tra le due esperienze: questa volta senza dubbio c’era un’intensità diversa, anche se alla fine è andato tutto bene. Penso spesso al futuro in questi giorni. Con la consapevolezza che quasi certamente d’ora in poi saremo meno liberi di prima: è questo il pensiero che mi intristisce di più. Le restrizioni che abbiamo sperimentato nelle settimane di lockdown non spariranno, certamente non subito. Di tutte le restrizioni è soprattutto la limitazione alla libertà di movimento che mi angoscia. Io vivo a Milano, ma sono pugliese, tutta la mia famiglia è di Trani. Vivere l’arrivo di Francesco senza loro a fianco, come avevamo pensato, è stata dura. Mi era più facile immaginare limitazioni alla libertà di stampa e di espressione che alla libertà di movimento degli individui. E questo, nonostante ne abbia conoscenza diretta. Ho studiato cinese, ho viaggiato in Cina dove spostarsi da una città o da una provincia a un’altra non è scontato. Come racconterò a Francesco il momento speciale in cui è venuto al mondo? Come lo racconto a Noemi in questi giorni: come una storia per bambini. Gli parlo del pipistrello, da dove tutto è partito, come se fosse una