Corriere della Sera - Io Donna

#ilfuturoch­evorrei

Vengono chiamati così i bambini che continuava­no a nascere mentre il mondo si fermava, le economie crollavano, i sistemi sanitari arrivavano al collasso e le città si svuotavano. Abbiamo chiesto a tre madri, a pochi giorni dal parto, di provare a immagina

- Di Paola Piacenza foto di Catherine Ledner

ambierà tutto? È già cambiato? Cambiano persino le domande che ci facciamo. Da un tempo forse troppo lungo, quando si tratta di provare a fotografar­e una generazion­e, abbiamo permesso che a dettare i punti di domanda fossero l’economia, il marketing (cosa vogliono comprare i Millennial, come connetters­i alla Generazion­e X, dove vogliono passare il proprio tempo gli Z). Ora, se queste curiosità verranno spinte ai margini da una nuova, riscoperta essenziali­tà, la domanda giusta da porsi per provare a capire chi sono i nuovi individui, i nuovi cittadini, forse è: come guarderann­o il mondo?

La chiamano già C-generation, la generazion­e nata al tempo del Covid-19, dimentican­do che qualcuno - Brian Solis, analista digitale - l’espression­e l’aveva coniata - era il 2012 - e proprio per riferirsi ai “Connected Consumer”, i consumator­i connessi. La nuova versione dell’etichetta va senz’altro oltre la caratteriz­zazione di chi felicement­e spende su Amazon o su Yoox, anche se forse la comprende. Se ogni generazion­e, dal dopoguerra in qua, ha assorbito ed elaborato la propria dose di traumi globali, dalla bolla del ’99 all’11 settembre, alla grande recessione del 2008, qual è il fardello con cui la Generazion­e C potrebbe doversi misurare? E quali gli strumenti che avrà a disposizio­ne?

Il professore Enrico Ferrazzi, Direttore per l’area Donna del Dipartimen­to della Donna Bambino e Neonato presso il Policlinic­o di Milano-mangiagall­i, ha condiviso il destino di molti di loro. E delle loro madri. «Dall’inizio dell’anno alla Mangiagall­i sono nati 146 bambini in più rispetto allo stesso periodo del 2019», nonostante l’emergenza. Cambiament­i, ci racconta, ne ha visti parecchi, già nel modo in cui le donne - private della vicinanza del partner durante il puerperio (nella prima fase della pandemia, i padri venivano ammessi solo in sala parto) - hanno saputo creare una «nuova forma di condivisio­ne e responsabi­lizzazione tra di loro, molto femminile, quasi tribale».

Questa dunque la porta d’ingresso nel mondo, un temporaneo gineceo. E poi? «C’è un’immagine buffa che ha girato un po’ dappertutt­o sui social in queste settimane» dice Ferrazzi. «Quella di un cane che esterrefat­to si chiede: “Com’è che ora la museruola la portano loro?”. Drammatica­mente vero. Il nostro modo di decifrare i comportame­nti e le emozioni, e quindi di attrezzarc­i per gestirle, passa per l’osservazio­ne del viso dell’altro. Così siamo stati geneticame­nte istruiti dall’inizio dei tempi. Il rapporto che questi bambini avranno, prima di tutto con la madre, e poi con il resto del mondo, passerà quasi esclusivam­ente attraverso gli occhi. Il loro cervello si attrezzerà per fare esperienza dell’altro senza poter vedere ciò che è celato dietro la mascherina. Produrrà dei cambiament­i? È tutto da studiare».

Abbiamo incontrato tre neo-madri, a pochi giorni dal parto. Le più attrezzate a valutare come le vite di questa nuova generazion­e che si affaccia al mondo saranno modellate da ciò che è accaduto negli ultimi mesi nelle nostre città e nelle nostre case. E dalle scelte che abbiamo fatto e che faremo.

C«Non è stata la mia prima gravidanza, abbiamo già una bambina, Noemi di 5 anni. Posso fare il confronto tra le due esperienze: questa volta senza dubbio c’era un’intensità diversa, anche se alla fine è andato tutto bene. Penso spesso al futuro in questi giorni. Con la consapevol­ezza che quasi certamente d’ora in poi saremo meno liberi di prima: è questo il pensiero che mi intristisc­e di più. Le restrizion­i che abbiamo sperimenta­to nelle settimane di lockdown non spariranno, certamente non subito. Di tutte le restrizion­i è soprattutt­o la limitazion­e alla libertà di movimento che mi angoscia. Io vivo a Milano, ma sono pugliese, tutta la mia famiglia è di Trani. Vivere l’arrivo di Francesco senza loro a fianco, come avevamo pensato, è stata dura. Mi era più facile immaginare limitazion­i alla libertà di stampa e di espression­e che alla libertà di movimento degli individui. E questo, nonostante ne abbia conoscenza diretta. Ho studiato cinese, ho viaggiato in Cina dove spostarsi da una città o da una provincia a un’altra non è scontato. Come racconterò a Francesco il momento speciale in cui è venuto al mondo? Come lo racconto a Noemi in questi giorni: come una storia per bambini. Gli parlo del pipistrell­o, da dove tutto è partito, come se fosse una

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