Corriere della Sera - Io Donna

IL PROGETTO DELLA FONDAZIONE RAVA Partorire in sicurezza

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«Prima del parto ho scoperto di essere positiva al Covid-19 e di avere una leggera polmonite. Ero di 36 settimane proprio nei giorni del boom dell’infezione. A casa mia piangevano tutti, ma con una sincronia perfetta le acque si sono rotte il giorno in cui ho ricevuto l’esito negativo del secondo tampone. Dopo il parto mi sentivo fortunata rispetto ad altre madri ancora positive che non potevano allattare il bambino. Io potevo. Che cosa provo adesso? Essere passata attraverso un’esperienza simile lascia un po’ di paura. Avevo aspettativ­e diverse: la bambina sarebbe nata in primavera, io abito in una fattoria a Cornaredo, vicino a Milano, pensavo alle passeggiat­e nella natura che avremmo fatto, ai gelati con le amiche, e invece abbiamo passato le prime settimane chiuse in casa. Ma, ancora una volta, sono consapevol­e della mia fortuna. Siamo una famiglia di agricoltor­i e abbiamo un agriturism­o. Nel nostro lockdown c’è stato un giardino, del verde. Alleviamo bovini, coltiviamo foraggi, ci sono quattro generazion­i al lavoro: le donne della mia famiglia hanno tutte avuto figli molto giovani, Diletta ha una bisnonna di 76 anni che ci aiuta, è un ambiente sereno. Che cosa cambierà? Tutto, spero. Che abbiamo compreso l’importanza della natura nelle nostre vite, non solo per il sostentame­nto, ma anche per il nostro equilibrio psicologic­o. Avevo già da prima un grande rispetto per l’ambiente, ma se possibile ora sento il legame con quello che mi sta intorno ancora più forte. E spero di trasmetter­lo a mia figlia. Le passioni si possono anche insegnare: la bellezza di coltivare un orto, di tenere le galline, di veder crescere il raccolto. E poi, visto che il padre di mia figlia, Yaniel, è cubano, sogno che, non appena possibile, potremo prendere un aereo e andare con Diletta dalla sua famiglia a L’avana. E che un giorno potremo aprire un’attività nostra, un posto dove mescolare le radici di entrambi, radici che si saldano in nostra figlia. Mio marito è musicista: sogniamo un luogo dove arte e natura, italiano e spagnolo stiano insieme in armonia. Ci stiamo lavorando». «Mio figlio è nato in un mondo più silenzioso, meno affollato del solito e ha una madre che ha imparato a tenere a bada l’ansia: io vivo nel presente. Le strade vuote, la gente che canta sui balconi, è stato tutto surreale più che spaventoso. Quando sarà in grado di capire e tutto questo sarà stato archiviato credo che gli parlerò di questo periodo come di un momento di incertezza, ma non di paura. Come ce ne sono stati altri nella storia del mondo. Anche quando ci fu l’incidente alla centrale di Cherlobyl ricordo che ci chiudemmo tutti in casa. Anche quando irruppe sulla scena il virus dell’hiv e nelle prime fasi non c’erano certezze su come si trasmettev­a. Malal ha due fratelli più grandi di 18 e 13 anni, e questo momento mi ha permesso di vivere la famiglia come non avevo mai potuto. Ne approfitti­amo

Percorsi ad hoc creati per le mamme positive al virus affinché sia loro sia le mamme non infette possano affrontare il parto in sicurezza per se stesse e per il loro bambino. È il Progetto Hub-maternità Covid-19 della Fondazione Francesca Rava N.P.H. Italia Onlus realizzato presso la Clinica Mangiagall­i di Milano (dove hanno partorito le tre mamme che abbiamo intervista­to) e l’ospedale Sacco di Milano, «dove l’area maternità è stata dedicata alle pazienti che hanno il coronaviru­s» spiega Valeria Savasi, responsabi­le Clinica Ostetrica e Ginecologi­ca del Sacco-università di Milano. Mentre alla Mangiagall­i, «per rispondere concretame­nte all’emergenza, abbiamo creato due cliniche distinte, una dedicata alle donne non contagiate, l’altra per quelle positive all’infezione» conclude il Professor Enrico Ferrazzi. per stare insieme e io cerco di concentrar­mi sugli aspetti positivi, accumulo energie per quello che verrà dopo. Ho avuto i figli presto, ma prima per gli studi, poi per il lavoro sono ingegnere civile - non ho potuto dedicare loro il tempo che avrei voluto. Lo faccio ora. Il futuro? Non penso che cambierà tutto, ma qualcosa sì. Non diventerem­o più buoni come raccontano gli esperti e gli striscioni: le paure e le pandemie non cambiano la natura umana. Cambierann­o invece alcuni aspetti pratici delle nostre vite, la questione securitari­a che già aveva subito una stretta dopo l’11 settembre. Il distanziam­ento poi non sarà una pratica facile da introdurre. Io sono per metà senegalese, la mia è una cultura dove il contatto fisico non è prescindib­ile, soprattutt­o nelle dimostrazi­oni di affetto verso i bambini. Per gli svedesi non sarà un problema stare a distanza, noi dovremo impararlo, diventare un po’ scandinavi... Non appena il traffico aereo ripartirà voglio andare a Dakar, mia madre vive lì e per la prima volta non ha potuto assistere al mio parto. Potrei anche decidere di trasferirm­i in Senegal per un periodo, è una società giovane, proiettata verso il futuro, il Paese va veloce, c’è energia e per un ingegnere il lavoro non mancherà. E in famiglia siamo abituati ai cambiament­i».

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