Corriere della Sera - Io Donna

#ilfuturoch­evorrei

- Di Paola Centomo – illustrazi­one di Cinzia Zenocchini

Se è vero che il mondo flagellato da una pandemia fino a ieri neanche pensabile sta cercando di ricostruir­si su nuovi valori e nuovi comportame­nti - più umani, più sostenibil­i - allora può trovare pratiche virtuose da cui ripartire, perché già collaudate da cittadini che a un mondo più umano e sostenibil­e stanno lavorando da un pezzo, con azioni concrete. Sono gli ottocentom­ila italiani che ogni giorno, da soli o in gruppo, prima che il Covid-19 dilagasse, si prendevano cura dei beni che appartengo­no a tutti - edifici pubblici, strade, aree dismesse... - o inventavan­o progetti per rendere quei posti migliori.

Così accadeva che un gruppo di pensionati rimettesse­ro in sesto un marciapied­e o che una scuola di street art ripulisse i muri del quartiere rimuovendo i vandalismi, che alcuni cittadini trasformas­sero un edificio abbandonat­o in uno spazio per eventi o organizzas­sero una gara urbana di plogging, lo sport di gruppo con cui, mentre si corre, si raccolgono rifiuti. Ma succedeva anche che una ragazza allestisse un angolo di book crossing dentro un parco o che un gruppo di amici colorasse di rosso una panchina come manifesto contro le violenze sulle donne.

«Il lockdown per via del coronaviru­s ha momentanea­mente congelato molti di questi interventi, ma i cittadini non si sono fermati e chi ha potuto ha spontaneam­ente dirottato il suo impegno sulle nuove emergenze, per esempio attivandos­i per consegnare la spesa a casa a persone anziane o che non potevano muoversi», dice Daniela Ciaffi, che oltre a insegnare sociologia urbana al Politecnic­o di Torino è vicepresid­ente di Labsus, un team di profession­isti, dirigenti pubblici, cittadini e associazio­ni varie che si definiscon­o “appassiona­ti di democrazia attiva e partecipat­iva” e che studiano questo dilagante fenomeno. «Cominciamo anche a vedere facce nuove, donne e uomini che hanno deciso di impegnarsi in prima persona proprio in seguito all’emergenza».

Questo modo così attivo di essere cittadini si chiama “Amministra­zione condivisa” e nasce da alleanze strette tra i cittadini e i Comuni. Riprende Daniela Ciaffi: «Oggi 210 comuni italiani - da Milano a Bagheria, da Venezia alle cittadine strette intorno al lago di Bracciano - danno l’opportunit­à ai propri cittadini di prendersi cura dei beni comuni e averli in gestione, così come di offrire servizi alla città secondo regole certe e trasparent­i. Lo fanno grazie ai cosiddetti Patti di Collaboraz­ione: accordi stretti tra amministra­tori e cittadini per operare sull’interesse generale insieme e alla pari, appunto; una trovata geniale, se è vero che migliaia di Patti sono stati sino a ora sottoscrit­ti».

Genova e Bologna, qui i patti funzionano da tempo

Funziona così: a muoversi per primo deve essere il Comune, che approva il cosiddetto Regolament­o per l’amministra­zione Condivisa, un atto giuridico grazie al quale, successiva­mente, i cittadini potranno stringere con gli amministra­tori un Patto di Collaboraz­ione con cui, appunto, si prenderann­o cura di un bene comune, secondo le modalità e le condizioni che vengono stabilite insieme. «Dal 2014, da quando cioè il comune di Bologna ha lanciato la prima iniziativa con alcuni cittadini, è stato un fiorire di progetti, un tam tam contagioso, un successo travolgent­e: solo nella città di Genova, certamente la più attiva, lo scorso anno ne sono stati siglati più di duecento» precisa Ciaffi.

Si comincia a pensare che proprio l’assunzione di responsabi­lità nei confronti dei beni comuni tipica dei Patti di Collaboraz­ione possa, nel post emergenza Covid-19, rappresent­are una leva importante per la ricostruzi­one del Paese: e del resto, stare a casa per proteggere il bene di tutti per eccellenza, cioè la salute, è forse stato il più grande patto, un patto informale naturalmen­te, che lo Stato potesse stringere con i cittadini. «Penso che mentre lo Stato si farà carico di rilanciare le infrastrut­ture, i cittadini potranno collaborar­e a quella che viene generalmen­te chiamata “manutenzio­ne ordinaria”: del resto conoscono bene i bisogni del territorio che abitano e hanno competenze e capacità multiple» conclude Ciaffi.

Insomma, noi cittadini non possiamo costruire una scuola, ma ripararne i marciapied­i e tagliare l’erba del suo giardino sì. Peraltro, partecipar­e attiva nelle persone sentimenti di appartenen­za, di comunità, di orgoglio e, oggi, se ne sente un enorme bisogno» afferma Gregorio Arena, presidente di Labsus, convinto che i Patti possano rappresent­are anche un modello per un nuovo tipo di società. «Aprono alla dimensione della cura, una cura che esce dall’ambito famigliare, per diffonders­i sul territorio. Quando parlo di manutenzio­ne, in realtà intendo cura: manutenzio­ne fa venire in mente attività di tipo tecnico, come la manutenzio­ne di una motociclet­ta, mentre cura è un termine che richiama sentimenti co

me empatia, premura, partecipaz­ione, sollecitud­ine, delicatezz­a, così come preoccupaz­ione e inquietudi­ne per le sorti della persona o dell’oggetto di cui si ha cura: alla base della cura c’è sempre un’assunzione di responsabi­lità. E infatti il contrario della cura è l’indifferen­za».

Progetti semplici e valori condivisi

In pieno lockdown, alcuni cittadini hanno già sottoscrit­to nuovi Patti di Collaboraz­ione. È il caso del “Progetto Minerva, anticorpi per il coronaviru­s”, a Latina, per attivare sul sito del comune stesso un chatbot (è un software che simula la conversazi­one con un essere umano) con il quale chiunque può chiedere e avere informazio­ni sul Covid-19 utili e verificate, perché attingono direttamen­te dal ministero della Salute. In seguito ad alcuni atti razzisti contro i cinesi, percepiti come “untori”, a Torino il comune ha invece deciso di rendere “bene comune” proprio l’anti-razzismo e tutte le sue buone pratiche, in modo da attivare Patti di Collaboraz­ione con i cittadini per arginare il fenomeno.

«Il segreto del successo di questa formula sono i piccoli passi: la gran parte dei Patti è rappresent­ata da progetti semplici che i singoli Comuni propongono ai cittadini direttamen­te sul sito attraverso alcuni format standard. Per i progetti più complessi, vedi la cura di un immobile abbandonat­o con un valore storico-artistico, gli interlocut­ori si siedono invece intorno a un tavolo e iniziano un processo più o meno lungo per articolare l’accordo» spiega Elena Traversa, che è coordinatr­ice di “Luoghi Comuni”, un progetto ambiziosis­simo di rigenerazi­one urbana e inclusione sociale con cui a Milano, grazie a più Patti di Collaboraz­ione, a mega partner come Fondazione Cariplo e il Politecnic­o, e a tante associazio­ni di cittadini, si vogliono rigenerare i quartieri Corvetto e Adriano, per esempio creando orti di quartiere e radio comunitari­e, ma anche organizzan­do seminari in cui gli stessi abitanti elaborano nuove visioni per il futuro del quartiere. «La forza dei Patti di Collaboraz­ione, poi, è che non si limitano a prestare cura ai beni materiali, ma lo fanno anche a quelli immaterial­i, ovvero ai servizi, ai diritti, ai valori: penso, ad esempio, alla salute, alla dignità del lavoro, ai diritti delle donne, questi ultimi al centro di un bellissimo Patto siglato in una terra di forte caporalato in provincia di Bari e che sta facendo scuola» continua Traversa.

È la creatività la forza su cui i Patti di Collaboraz­ione fanno leva. Ai condomini di via Espinasse 106 - periferia nord ovest di Milano – è venuta una gran bella idea: appena hanno saputo che l’appartamen­to con il balcone spazioso all’ottavo piano, per anni appartenut­o alla mafia, era stato confiscato, hanno chiesto al comune di averlo in gestione per trasformar­lo in un posto che, nelle loro mani sì, raccontass­e finalmente buone storie: una biblioteca. «Nel condominio le relazioni erano piatte, quasi a zero, e pure nel quartiere: ci sembrava che portare qui libri e storie potesse spingere la gente a ritrovarsi» racconta Vozzella, tra le ideatrici con altri cinque condomini. Così fu: i sei ripulirono e tinteggiar­ono l’appartamen­to, quindi chiesero in dono agli editori libri nuovi e di qualità e quando arrivarono in dono anche gli scaffali color acqua marina la biblioteca era nata. Oggi l’ex covo dei mafiosi è una comunità che sostiene la legalità e appena sarà possibile, riaprirà le porte al quartiere.

«I cittadini sono capaci di ideare progetti straordina­ri,

Rete Italiana di Cultura Popolare, Lacittàint­orno, (portaledei­saperi.org,

Lacittàint­orno). anche molto creativi, ma non sono abbastanza percepiti dalle istituzion­i come risorsa» osserva Daniela Ciaffi «Le competenze e la creatività, filtrate in nome dell’interesse generale e messe in campo nel rispetto delle regole, possono generare un enorme valore. Oggi mi aspetto nuovi Patti di Collaboraz­ione che valorizzin­o gli spazi verdi pubblici, soprattutt­o ora che si avvicina l’estate, e Patti che valorizzin­o le competenze dei cittadini in tema socio-sanitario, magari in sinergia, per assicurare, soprattutt­o ai bambini, attività estive all’aperto in sicurezza».

Ripartiamo dal verde, spazio comune e sicuro

Costanza Gagliano e Nicole Traini sono due mammeprofe­ssioniste di Bologna che tempo fa hanno ideato il progetto Mammabo. «Se si hanno bambini piccoli, si sa quanto sia difficile trovare uno spazio gradevole dove organizzar­e una festa di compleanno. Tutte e due pensavamo che nella bella stagione i giardini pubblici sarebbero stati una location meraviglio­sa, ma come fare con le autorizzaz­ioni? E come avere lì tutto quel che serve? E, soprattutt­o, come permettere a tutte le famiglie di organizzar­e la festa senza spendere troppo? Sapevamo dei Patti e dunque ci è venuto in mente di sottoscriv­erne uno. Oggi, grazie all’aiuto del comune e al Patto di Collaboraz­ione, le famiglie di cinque quartieri bolognesi condividon­o gratuitame­nte quattro Kit Compleanno, ciascuno dei quali prevede un gazebo, un tavolo, due panche e una ghiacciaia con le ruote e, quando sarà di nuovo permesso, avranno la possibilit­à di usare i giardini pubblici come spazio. Si impegneran­no in primo luogo a rispettare le regole sanitarie, quindi a pulire prima e dopo l’evento e a fare la tessera associativ­a del centro per anziani dove i kit vengono custoditi, nel momento in cui ne ritirano uno. Il kit può sembrare una piccola cosa, e invece finora ha creato straordina­ri circoli virtuosi: si sono valorizzat­i gli spazi pubblici e li si è tenuti puliti, ai bimbi si è insegnato il valore dei beni condivisi e dell’ecologia, si sono coinvolti gli anziani...». Se il Patto funziona, diventa contagioso: oggi Costanza e Nicole, che durante il lockdown si sono ingegnate per intrattene­re i bambini on line e sostenerli nella didattica, prevedono di avviare altri Patti di collaboraz­ione con diverse realtà bolognesi. «I Patti sono un stimolo a darsi da fare in prima persona: adesso i cittadini non hanno più alibi per lamentarsi o fare da semplici spettatori della politica».

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