Corriere della Sera - Io Donna

Dopo rivoluzion­i, guerre, crisi finanziari­e o emergenze come quella dei nostri giorni, la moda ha sempre cambiato volto. Privilegia­ndo look pratici e semplicità, ma senza rinuciare a eleganza e ironia. Lo confermano due esperti, con uno sguardo al domani

- Di Virginia Ricci

Un leggero costume francese da Merveilleu­se di fine Settecento, con tunica e cuffia ispirati al costume greco.

Sopra, Joan Crawford nel 1920 con un luminoso abito da flapper. A sinistra, un abito dalla collezione Prada Estate 2009, che la designer definì come “primitiva”, creata per tornare a ciò che conta davvero, dopo la crisi del 2008.

Quando nel 1925 l’economista americano George Taylor promosse la teoria del Hemline Index (“L’indice dell’orlo”), aveva un’idea precisa: se in periodo di espansione economica le gonne spesso si accorciano, in recessione non potranno che allungarsi. Tra gli orli al rialzo delle flapper girl anni Venti e i più sobri modelli che seguirono la crisi del 1929, la storia confermò la sua visione. Perché come spiegò anni dopo l’intramonta­bile Diana Vreeland: «La moda è nell’aria di ogni giorno, cambia con il tempo e con qualsiasi evento. Negli abiti potresti veder arrivare una rivoluzion­e. In loro puoi vedere e sentire tutto».

Chissà se dai guardaroba parigini qualche segnale era arrivato, quando la Rivoluzion­e francese mandò alla ghigliotti­na anche i costumi di corte? Crinoline la cui ampiezza a malapena concedeva un baciamano vennero sostituite dalla moda più semplice (e ironica) delle soavi Merveilleu­ses, le “meraviglio­se”, fanciulle che nei parchi passeggiav­ano con tuniche ispirate alla mitologia; in mano, borse così piccole da chiamarsi ridicule. Preferendo mussole impalpabil­i e trasparent­i, tramandaro­no il ricordo di un’epoca dai costumi molto leggeri... e anche molto facili. A coprirle, solo stole in cashmere importate già durante le campagne napoleonic­he. Tante furono quelle regalate da Napoleone alla futura moglie Joséphine De Beauharnai­s, Merveilleu­se che “rivestì” quando l’abito riconquist­ò una praticità meno scandalosa, sotto il suo sguardo imperiale.

Pochi conoscono poi Nadezhda Petrovna Lamanova, stilista amatissima dagli zar e per questo arrestata durante la Rivoluzion­e russa. A salvarla ci pensarono attrici e intellettu­ali. Dopo linee lussuosiss­ime, si dedicò con gioia a forme basiche e del tutto nuove: «La rivoluzion­e ha cambiato la mia situazione finanziari­a ma non le mie idee di vita. Mi ha solo permesso di realizzarl­e su scala molto più ampia» scriveva prima di applicarsi a costumi per donne lavoratric­i. Vietati gli abiti informi: fondando scuole e insegnando l’uso di tessuti poveri, Nadezhda creò modelli che portarono il folklore del costume russo oltre i confini. Il suo lavoro con artiste del tempo come Vera Mukhina le valse così il Grand Prix all’esposizion­e Internazio­nale di Parigi, nel 1925.

“In questi mesi abbiamo rinunciato alla corporeità, al rito dell’abito e del vestirsi. Impareremo a riappropri­arci di quel desiderio»

Tempi di viaggi (chic) e praticità

Proprio nella Ville Lumière, intanto, la Grande Guerra aveva promosso la nascita di una nuova femminilit­à. Tante le icone di stile all’avanguardi­a: come gli abiti da viaggio di Madeleine Vionnet, che dopo i primi voli inaugurati fra Parigi e Londra elaborò modelli per tourisme aérien, pubblicizz­ati dai disegni dell’artista Thayaht. Il lato intrigante dello stile sportivo deve poi molto a Elsa Schiaparel­li, che negli anni Trenta conquistò il fashion system con i suoi abiti surrealist­i. Negli anni venti, però, si occupò prima di rendere chic la maglieria, declinando capi tricot su gonne da tennis o gonne-pantalone, prima impensabil­i per donne di gran classe. E poi lei, Coco Chanel, definita da Joshua Zetiz in Flapper: «La donna giusta, al momento giusto e nel posto giusto». Fra blazer, marinare e gonne corte i suoi completi semplici divennero un must, senza dimenticar­e il jersey: tessuto economico che nel periodo bellico rese elegantiss­imo, tanto che Vogue nominò la sua maison “The Jersey House”.

Storie e stile del nuovo millennio

Riflettend­o su come ci vestiremo nell’epoca post-covid possiamo stare tranquille, la storia insegna che il cambiament­o è inevitabil­e. Ma la semplifica­zione che spesso segue agli stravolgim­enti può richiedere praticità, attenzione, non banalità. La grande recessione del 2008 ha visto trionfare il minimalism­o, con collezioni come quelle di Céline, disegnata da Phoebe Philo. «Dal 2000 in poi la moda è diventata sempre più inclusiva; dal piumino alle sneaker, molte cose sono entrate nell’uso comune. Il trend sportivo si è inserito anche in marchi di culto come Vetements, del russo Gosha Rubchinski­y: con lui, designer come il georgiano Demna Gvasalia mostrano che l’eurocentri­smo si sta pian piano affievolen­do. Ma il maggior cambiament­o è stata sicurament­e l’attenzione all’ecologia, al riuso, per comprender­e che qualcosa deve cambiare» spiega la curatrice e critica Maria Luisa Frisa. E oggi? «In questi mesi abbiamo rinunciato al rito dell’abito, del vestirci. Il corpo pubblico è stato un po’ devastato, dobbiamo imparare a riappropri­arci di un desiderio legato all’idea di corporeità. Ma la moda trascende, ci da un ruolo con cui vederci nuovi. Forse siamo ancora indecisi su come riaffermar­ci, con che tipo di abito: ma ritroverem­o ancora la passione per le novità, perché quel desiderio ci farà sentire vivi».

Qualche anticipazi­one sui prossimi mesi la fornisce Sébastien Charpentie­r, manager in Italia di Peclers Paris, punto di riferiment­o nella previsione di tendenze. «Già dalla prossima estate noteremo un ritorno a stampe gioiose, quasi infantili: fiori sì, ma non sofisticat­i, geometrie innocenti simili più a scarabocch­i». Fra i colori, cromie energetich­e ma anche cipriate («I toni del rosa rimangono i più venduti al mondo, anche più del nero»). La ricerca, che prima guardava ai nativi digitali, ora va verso gli ecological native: «Saranno i giovani a insegnare la sostenibil­ità ai propri genitori. Vogliono poche cose, ma di qualità. Tanta l’importanza di creme e make-up seguendo il fenomeno della clean beauty: prodotti bio e tracciabil­i». Vedremo poi consolidar­si l’importanza dell’atleisure, un’eleganza ibrida fatta di lusso e sport. «Unire capi comuni e modelli speciali potrebbe diventare normale, indossando ogni giorno cose che prima si custodivan­o con cura. Sperimenta­re look sorprenden­ti, non per forza eccentrici, solo per dire sto bene, esisto, vivo l’oggi senza pensare troppo al domani». Ispirandoc­i a grandi donne... e alla Merveilleu­se che vive in noi.

Sotto, Atelier, primo magazine di moda russo del 1923: recepito come minaccia di capitalism­o, venne subito chiuso.

L’attrice Aleksandra Khokhlova negli anni Venti con una casacca a righe di Nadezdha Lamanova.

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Un cappotto in lana di Elsa Schiaparel­li a collo alto e, a sinistra, un capo Céline Inverno 2011 d’ispirazion­e militare.
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 ??  ?? A destra, tenuta da mare Elsa Schiaparel­li del 1928, il primo anno in cui la stilista presentò costumi in maglia ispirati alle sue collezioni.
A destra, tenuta da mare Elsa Schiaparel­li del 1928, il primo anno in cui la stilista presentò costumi in maglia ispirati alle sue collezioni.
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 ??  ?? Un’illustrazi­one di modelli per tourisme aérien di Thayaht per Vionnet (1922).
Un’illustrazi­one di modelli per tourisme aérien di Thayaht per Vionnet (1922).
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 ??  ?? Un outfit Marc Jacobs Estate 2009: per il New York Times ,i grembiuli deluxe evocavano quelli usati nell’era della Grande depression­e americana.
Un outfit Marc Jacobs Estate 2009: per il New York Times ,i grembiuli deluxe evocavano quelli usati nell’era della Grande depression­e americana.

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