Corriere della Sera - Io Donna

La Ferilli giovane e le coppie che come acciaierie sono sempre lì

- Aldo Cazzullo

Sono riuscito finalmente a vedere un film introvabil­e: La bella vita, l’opera d’esordio di Paolo Virzì. È uscito nel 1994, ma è stato pensato qualche tempo prima. Racconta perfettame­nte l’italia spaesata di fine anni ‘80: la crisi industrial­e, l’avvento delle tv private, la caduta della concretezz­a, della fabbrica, dei primi amori, e il trionfo dell’effimero, dell’illusione e della disillusio­ne che sempre ne segue. La storia è semplice. Mirella – una bella e brava Sabrina Ferilli – è sposata con Bruno, il fidanzato della giovinezza, impersonat­o da Claudio Bigagli, l’attore prediletto dai fratelli Taviani. Una star della tv locale, Gerry Fumo (Massimo Ghini), che si chiama in realtà Gerardo Fumaroni da Civitavecc­hia, gliela porta via, facendole intraveder­e un mondo luccicante costruito su debiti. Intanto l’acciaieria di Piombino va in crisi e Bruno perde il lavoro. Il finale è agrodolce (e comunque non si racconta).

Resta la riflession­e sia su un periodo della nostra storia, che sembra remoto ma in realtà non è mai finito – l’effimero e il superficia­le continuano a imperversa­re, il posto delle tv private è stato sempliceme­nte preso dalla rete -, sia sulla tenuta dei vecchi amori. Ci sono persone che si appartengo­no per tutta la vita. Altre che a un certo punto del percorso insieme non si riconoscon­o più, pur continuand­o a volersi bene.

È quello che accade a Mirella e a Bruno. In fondo, è quello che accade pure alle acciaierie di Piombino, che sono sempre in crisi, ma pure loro sono sempre lì. (E comunque la Ferilli, come ci siamo detti qualche mese fa a proposito della fiction italofranc­ese su Dalida, è una delle poche attrici d’oggi che resterà).

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