Corriere della Sera - Io Donna

Della creatività

- Di Virginia Ricci foto di Alex Majoli

Carlo Capasa, presidente Camera Nazionale della Moda Italiana.

Il tempo fugge, la moda insegue. Le stagioni incalzano e le collezioni accelerano, offrendo a ritmo serratissi­mo prodotti sempre nuovi... Almeno fino a qualche mese fa. Trascorse sei settimane dalla riapertura, ci siamo ritrovati a passeggiar­e davanti alle vetrine ammirando i capi che avevamo aspettato di veder tornare in scena. Lo dice anche la ricerca sul futuro condotta da io Donna su un campione di 2.400 intervista­te durante il lockdown: lo shopping per il guardaroba estivo è rimasto in cima alla lista dei desideri (abbigliame­nto e scarpe rispettiva­mente al 71 e 40 per cento).

L’urgenza di cambiare, però, c’è. Nei backstage del sistema si discute proprio del tempo, chiedendos­i se il rito di sfilate e presentazi­oni sia davvero immutabile e, di conseguenz­a, cosa potremmo trovare nei negozi in futuro. «Stiamo cercando di capire se il nostro è davvero un sistema vincente. Quando di vittorioso c’è solo il fatturato, responsabi­le comunicazi­one di Camera Italiana Buyer Moda. meglio fermarsi: abbiamo compreso che sempre di più dobbiamo guardare alla sostenibil­ità» spiega Carlo Capasa, presidente di Camera Nazionale della Moda Italiana. «Avere nuove consegne ogni sei settimane genera un meccanismo che abitua il consumator­e a continui periodi di sconto. D’altra parte così aumentano anche le rimanenze, che finiranno nelle discariche. È un andamento imposto dal fast fashion, obbligato a mantenere prezzi bassi. Si compra troppo, chi produce guadagna troppo poco... e l’inquinamen­to del pianeta lo paghiamo tutti».

Insomma, anche la stagionali­tà va ripensata. Se presentare le collezioni qualche settimana prima sulle riviste non è scorretto («La creatività della stampa serve anche ad abituare i lettori ai cambiament­i proposti dagli stilisti»), meglio non mettere i capi sul mercato con troppo anticipo. E le sfilate? Posticipar­le di qualche mese rischia solo di minare la creatività: «Veder sfilare abiti che sono già stati venduti ai buyer farebbe svanire quel sogno che ha reso celebre la moda in Italia e a Parigi. Noi

Offrire i capi giusti nel momento giusto, evitando gli eccessi. Il cambiament­o che oggi si fa strada nel sistema moda ha un obiettivo: rispettare i tempi e la sostenibil­tà. Produrre meno e meglio, forse, sarà la strada. Intanto rallentiam­o. Ce lo chiede il pianeta (e tanti stilisti sottoscriv­ono)

siamo arte, non marketing. E per i brand più piccoli, sarebbe insostenib­ile». Parlare di responsabi­lità fa sempre un po’ paura. Di certo, quello che la moda italiana porta sulle spalle in questo momento è un patrimonio da difendere con cura. Si tratta della seconda industria del Paese (prima per esportazio­ne), che a livello europeo rappresent­a il 41 per cento della produzione, confermand­oci primi produttori del lusso: nostro è anche il merito di inventare materiali, finissaggi e nuove risorse green.

«Siamo quelli che creano il mercato, che lo stimolano. Per primi abbiamo lanciato i Green Carpet Fashion Awards, dove lo scorso anno abbiamo premiato Valentino Garavani per la creatività: i suoi abiti vengono ancora tramandati. Del resto, in Italia siamo maestri nel generare valore». I consumator­i si abituerann­o a un ritmo diverso? «Sì, basta pensare che durante il lockdown il 24 per cento di chi ha comprato on line l’ha fatto per la prima volta. È migliorata la cultura digitale di un sistema importanti­ssimo: Camera Moda riunisce 220 brand, che a loro volta proteggono centinaia di piccoli artigiani. Un mondo complesso che non può essere diviso per comparti, va trattato globalment­e: per l’importanza che ha, ci meriteremm­o un ministro della Moda».

Cambio di stagioni

Certo, con i saldi spostati ad agosto nei negozi avremo delle sorprese. Un posticipo che potrebbe dare inizio a quello che Beppe Angiolini (responsabi­le comunicazi­one di Camera Italiana Buyer Moda e proprietar­io della celebre boutique Sugar di Arezzo) definisce un “riallineam­ento”. «Vendere un cappotto a luglio ha davvero senso? Con i ribassi ad agosto e una coerente proposta dell’autunno-inverno, tutto tornerebbe più umano. È un pensiero già espresso da Giorgio Armani, e dalla lettera che il designer Dries Van Noten ha sottoscrit­to con tanti stilisti per appoggiare questo cambiament­o. L’ho firmata anch’io: la creatività non può continuare a rincorrere le stagioni». Il problema potrebbe arrivare dall’on line, con i siti che partiranno prima con gli sconti. Ma all’inizio del lockdown, sottolinea Angiolini, la propension­e all’acquisto virtuale si è tramutata in una reazione più riflessiva, meno dettata dall’impulsivit­à. «Chi entra in boutique non lo fa più solo per curiosare o per un acquisto mirato, ma per godersi l’esperienza. Che siano diventate un luogo di incontro lo noteremo ancor più nelle località di mare: lì, le boutique sono meta di tanti giovani. In generale i ragazzi si stanno dimostrand­o molto vivaci, rispetto a persone più adulte».

Cosa troveremo nei negozi a settembre? Sicurament­e una parte di capi continuati­vi o privi di stagionali­tà. E lentamente, il susseguirs­i di “pre-collezioni” potrebbe iniziare a svanire. «Per vivacizzar­e l’offerta i marchi offriranno delle sorprese, piccoli lanci creati ad hoc. Prodotti ricchi di personalit­à, non fatti solo per vendere. Bisogna riconquist­are lo status artistico che negli anni si è un po’ perso: durante le crisi, la moda sembra dover fare un passo indietro, come se fosse solo frivolezza. Concentria­moci allora sulla sua storia, sulla cultura e le persone che la creano, e ritroverem­o un ruolo di primo piano».

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Beppe Angiolini,
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La moda è la seconda industria del nostro Paese, prima per esportazio­ne. Qui si produce il 41 per cento dei prodotti di lusso venduti nel mondo.

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