Corriere della Sera - Io Donna
Quello che le donne raccontano
Ma forse l’aspetto che mi è parso più irritante è quello che pare avere decretato il successo della serie. Sto parlando della pretesa di Bridgerton di essere qualcosa di più di un romanzo di appendice, a tratti godereccio (per una volta il nudo integrale è solo maschile) per adolescenti inquiete o signore tardoromantiche: l’ambizione è quella di avere un secondo livello di lettura e un intento moraleggiante. È per questo che la verità storica viene ribaltata, mettendo in scena un ceto nobiliare multietnico, mai esistito, così rimuovendo quel poco di memoria storica della schiavitù che oggi, non passando più dai libri di storia, poteva passare dagli schermi.
Allo stesso modo la serie, che avrebbe potuto limitarsi a seguire l’evoluzione della storia d’amore dei protagonisti, è disturbata costantemente dall’intento di risultare didascalica per le giovani donne d’oggi. Così queste signorine che passano il tempo a imbellettarsi per rimediare marito rivelano un’inedita coscienza collettiva che le induce a impuntarsi e immaginare un destino autonomo, dribblando figure maschili, tutte invariabilmente meschine, compresa quella del protagonista che verrà riscattato dalla sua bella. Si dirà che quella coscienza da qualche parte c’era al tempo, se Jane Austen ne scriveva. Ma il travaglio che questa coscienza produceva era la sostanza del suo racconto non il ricciolo fuori posto di Daphne Bridgerton.